Seconda parte dell’analisi elettorale sulla tornata in Moldova. Il discusso voto della diaspora, espresso soprattutto in Occidente, e il ruolo della Gagauzia e della Transnistria. Su quest’ultima si gioca il futuro europeo del Paese. Dalla nostra inviata a Chișinău Roberta Văduva.
[Qui la prima parte dell’analisi]
La diaspora moldava in Occidente
Il voto della diaspora ha avuto, anche in questa tornata elettorale, un impatto di rilievo. Secondo i dati preliminari, oltre 200.000 cittadini moldavi residenti all’estero hanno partecipato al voto, contribuendo in modo significativo al risultato del Partito Azione e Solidarietà (PAS). Tra le comunità all’estero, quella in Italia si è confermata la più dinamica e strategica, non soltanto per la consistenza numerica ma anche per l’intensità del coinvolgimento civico e politico.
Con una popolazione stimata tra 120.000 e 130.000 persone, la comunità moldava in Italia rappresenta una delle più numerose in Europa. Le principali concentrazioni si trovano nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Torino e Padova, dove, in occasione del voto, si sono registrate lunghe code davanti ai seggi, con un’affluenza superiore alla media degli anni precedenti. L’elevata partecipazione riflette non solo la crescente organizzazione delle comunità locali e delle associazioni diasporiche, ma anche la percezione che il voto all’estero possa incidere in maniera determinante sugli equilibri politici interni.
Il sostegno espresso al PAS da larga parte della diaspora italiana si inserisce in un quadro più ampio: molti cittadini moldavi all’estero vedono nell’orientamento europeista del governo non solo un progetto politico, ma una prosecuzione del proprio percorso di integrazione vissuto quotidianamente nei Paesi UE. In Italia, dove una parte significativa della comunità è impiegata nei settori dell’assistenza familiare, dei servizi e della piccola imprenditoria, l’esperienza diretta dei diritti e delle opportunità legate allo spazio europeo alimenta la volontà di proiettare la Moldova verso lo stesso modello.
Dal punto di vista economico, le rimesse inviate dalla diaspora restano un pilastro dell’economia moldava, rappresentando in alcuni anni fino al 12–15% del PIL nazionale. La comunità in Italia, in particolare, contribuisce in modo sostanziale a questi flussi finanziari, rendendo evidente come il legame transnazionale non sia soltanto affettivo, ma anche strutturale per la stabilità economica del Paese.
Sul piano politico e simbolico, la recente visita della presidente Maia Sandu a Roma ha rafforzato questa dinamica. L’incontro con rappresentanti della comunità moldava e con autorità italiane ha sottolineato l’importanza della diaspora come ponte tra i due Paesi e come risorsa fondamentale per sostenere il percorso di avvicinamento della Moldova all’Unione Europea.
In questo senso, il voto moldavo in Italia appare non solo come un fenomeno elettorale, ma come un indicatore di cittadinanza transnazionale, in cui la partecipazione politica si intreccia con i processi di integrazione sociale ed economica. La diaspora diventa così parte attiva della ridefinizione identitaria della Moldova, proiettandola sempre più verso uno spazio europeo condiviso.

Regioni autonome e tensioni interne
Il voto parlamentare ha messo in luce, ancora una volta, la frammentazione territoriale e identitaria che caratterizza la Moldova. La distribuzione dei consensi ha evidenziato differenze profonde tra il centro e le regioni periferiche, confermando la difficoltà di costruire un consenso politico uniforme su scala nazionale.
La Gagauzia, regione autonoma situata nel sud del Paese, a maggioranza turcofona e storicamente orientata verso Mosca, ha registrato un’affluenza limitata e un sostegno pressoché nullo al PAS. Le autorità locali, guidate dalla başkan Evghenia Gutsul – figura emergente sostenuta in passato da partiti filorussi e attualmente sotto indagine per presunti legami con finanziamenti illeciti dall’estero – hanno denunciato pressioni politiche e intromissioni da parte del governo centrale. Tali dichiarazioni, sebbene difficili da verificare, riflettono la persistente distanza tra Chișinău e Comrat, capitale della regione autonoma, e l’irrisolta questione del riconoscimento pieno delle prerogative autonomistiche gagaùze.
La situazione appare ancora più complessa in Transnistria, territorio secessionista di fatto sotto l’influenza e la protezione militare della Federazione Russa. Qui la maggioranza della popolazione non ha potuto esercitare il diritto di voto: solo una parte minoritaria degli abitanti ha avuto accesso alle urne recandosi in appositi seggi allestiti al di fuori del territorio. L’organizzazione stessa del voto è stata complicata da fattori logistici e politici: c’è stato un blocco temporaneo di polizia sul ponte che collega Rîbnița con la Moldova “continentale”[1], con controlli alle auto e rallentamenti, sollevando dubbi su possibili ostacoli mirati.
Il cosiddetto “conflitto congelato” transnistriano, rimasto irrisolto sin dalla guerra del 1992, continua a rappresentare un elemento di instabilità latente per la Moldova. Per Mosca, esso costituisce una leva geopolitica permanente: mantenere una presenza militare e politica in Transnistria significa disporre di un potere di interdizione nei confronti delle scelte strategiche di Chișinău, in particolare per quanto riguarda il percorso di adesione all’Unione Europea.
Le prospettive future restano cariche di incognite: Tiraspol’ farà parte della grande famiglia europea? È una domanda che, seppur provocatoria, rimane centrale per qualsiasi ipotesi di integrazione della Moldova nell’UE. Accogliere Chișinău significherebbe accettare al proprio interno una regione de facto controllata dalla Russia, con un contingente militare presente sul suolo moldavo e un’élite politica dichiaratamente ostile a Bruxelles. La stessa Sandu ed esponenti del suo partito hanno parlato di integrazione a due passi[2] in riferimento al problema intestino. Non sorprende dunque che, nonostante i proclami europeisti e le promesse di sostegno, le istituzioni comunitarie evitino di affrontare in maniera esplicita il nodo transnistriano, lasciando aperto un interrogativo che pesa sul futuro stesso del progetto europeo a est.

Prospettive e incognite
La vittoria del PAS segna senza dubbio un passaggio storico: per la prima volta dopo anni di instabilità e governi fragili, la Moldova si affaccia a una nuova fase politica potenzialmente più stabile e orientata con decisione verso l’Unione Europea. Tuttavia, dietro l’entusiasmo delle piazze e il sostegno degli alleati occidentali, emergono con chiarezza le ombre di un percorso ancora accidentato.
Rispetto al 2021, quando il voto era stato dominato dall’urgenza di uscire dalla crisi istituzionale e dalla promessa di ripulire lo Stato dalla corruzione legata al sistema Plahotniuc, la campagna del 2025 si è svolta in un contesto radicalmente diverso. La guerra in Ucraina, la candidatura all’adesione all’UE e l’intensificarsi delle pressioni russe hanno trasformato il voto in una sorta di referendum geopolitico: più che scegliere tra partiti, gli elettori sono stati chiamati a definire la traiettoria internazionale del Paese.
Anche gli attori principali hanno riflesso questo mutamento. Nel 2021 lo scontro era stato frontale tra il PAS e i blocchi filorussi, in particolare il PSRM di Igor Dodon e il Partito Șor. Oggi, a distanza di quattro anni, l’opposizione appare più frammentata: il PSRM indebolito, il Partito Șor bandito, nuove sigle ancora prive di un leader capace di canalizzare il malcontento. Il PAS, pur consolidando il suo ruolo dominante, non ha potuto ignorare che il consenso si presenta molto più squilibrato territorialmente e socialmente rispetto a quattro anni fa.
Il nuovo esecutivo sarà chiamato a trasformare il capitale politico raccolto nelle urne in riforme concrete: giustizia indipendente, lotta alla corruzione, modernizzazione delle infrastrutture e armonizzazione normativa con l’acquis comunitario. Si tratta di processi lunghi e complessi, che dovranno essere condotti sotto l’occhio vigile di Bruxelles e con il sostegno, non sempre scontato, di una società civile frammentata e spesso disillusa.
Sul fronte interno, il consenso del PAS appare solido nelle aree urbane e nella diaspora, ma resta fragile nelle regioni autonome e nelle zone rurali, dove l’influenza russa continua a esercitare un richiamo culturale e politico profondo. Le fratture con la Gagauzia e soprattutto con la Transnistria non sono state ricomposte dal voto; al contrario, le tensioni potrebbero intensificarsi man mano che l’agenda europeista si tradurrà in scelte concrete percepite come ostili dalle élite locali filorusse. Parallelamente l’opposizione, sebbene divisa, rimane attiva e pronta a sfruttare ogni difficoltà del governo. La possibilità che si ricompatti attorno a figure carismatiche o che venga alimentata da risorse e strategie provenienti da Mosca rappresenta un rischio politico non trascurabile.
In questo quadro, il conflitto in Ucraina agisce come detonatore esterno: ogni avanzata o battuta d’arresto sul fronte ha ricadute dirette sulla sicurezza moldava, accentuando il timore di essere il prossimo tassello della proiezione geopolitica russa.
Il voto del 2025 segna dunque una svolta, ma non una conclusione. La Moldova ha scelto, almeno in maggioranza, la strada europea, ma resta un Paese sospeso tra aspirazioni occidentali e resistenze interne, tra promesse di riforma e inerzia istituzionale, tra protezione internazionale e vulnerabilità geopolitica. La domanda, inevitabile e ancora senza risposta, è se questo piccolo Stato riuscirà a emanciparsi dalle proprie contraddizioni storiche o se resterà ostaggio di una transizione infinita, sempre sull’orlo di un futuro europeo che non arriva mai e di un passato sovietico che non passa mai del tutto.
Roberta Văduva
[1] Police stopped traffic on the bridge between Transnistria and Moldova





