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Home Geopolitica

A chi importa del corridoio di Zangezur?

di Paolo Bottazzi
23 Aprile 2023
in Caucaso, Geopolitica
Tempo di lettura: 8 mins read
zangezur

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno Karabakh è uno dei sanguinosi lasciti della disgregazione sovietica, che ha esacerbato le tensioni etniche irrisolte in molte regioni dell’ex-URSS. Non va però sottovalutata la sua portata geopolitica: per quanto dimenticato dall’Occidente, il conflitto porta con sé importanti implicazioni per molte potenze regionali e globali, prime tra tutti Iran e Israele, in un incrocio di interessi che vedono al centro un lembo di terra armena noto come “corridoio di Zangezur”.

Da Lachin a Zangezur: le rivendicazioni azere

La regione di Zangezur, nell’Armenia meridionale, largamente corrispondente con il distretto amministrativo di Syunik, è stretta ad est e a ovest tra l’Azerbaigian e l’exclave azera di Nakhichevan, mentre a sud condivide pochi chilometri di confine con l’Iran, costituendo l’unico punto di contatto tra Erevan e la Repubblica Islamica. La regione è fondamentale per le comunicazioni tra Nakhichevan e il mainland azero, motivo per cui il governo di Baku insiste per la riapertura di una via di passaggio sicura: da qui la richiesta di un “corridoio” che percorra il confine meridionale armeno, collegando l’Azerbaigian occidentale non solo con la propria exclave ma anche con la città di Kars, in Turchia.

La terminologia impiegata rivela da sola buona parte della controversia: la richiesta da parte azera di un “corridoio” rimanda esplicitamente al corridoio di Lachin, la strada che dopo la seconda guerra del Karabakh è rimasto l’unico collegamento tra la regione e l’Armenia. Al centro della contesa c’è lo status di queste vie di comunicazione: Lachin è controllato da peacekeepers russi e le forze armate azere non hanno il diritto di imporre checkpoints sul territorio; nonostante ciò, la strada è bloccata da mesi da sedicenti attivisti cooptati da Baku e le recenti aggressioni azere hanno generato una risposta da parte dei mediatori russi, che hanno accusato l’Azerbaigian di aver violato il cessate il fuoco del 2020[1].

Manifestanti azeri filogovernativi bloccano il corridoio di Lachin, 2022 (AZERTAC)

Proprio in virtù del documento firmato dai presidenti Putin, Aliyev e Pashinyan per mettere fine al conflitto, l’Azerbaigian rivendica il diritto a stabilire un corrispettivo di Lachin per Zangezur, appellandosi all’articolo nove del documento secondo cui “La Repubblica Armena deve garantire la sicurezza delle connessioni e dei trasporti tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan per permettere il movimento senza ostacoli (unobstructed) di persone, veicoli e merci.” Baku interpreta estensivamente il testo per chiedere che i movimenti lungo il corridoio di Zangezur vengano esentati dai controlli armeni, presentati come un “ostacolo”, e invocando uno status de facto extraterritoriale del passaggio, negato perentoriamente da Erevan. Recentemente, alcuni passi indietro del governo azero sulla questione[2] suggeriscono che Zangezur fosse uno strumento di pressione sull’Armenia per chiudere con una “pace azera” la contesa in Nagorno Karabakh. Ciononostante, al di là dell’attuale contingenza politica, il nodo di Zangezur è destinato a riemergere, come dimostra l’attenzione che attira da parte di diversi attori internazionali.

Il ritorno del sogno panturanico

Nell’ottobre 2021, durante una conferenza stampa congiunta insieme all’omologo turco Recep Tayyip Erdogan, Ilham Aliyev ha presentato la connettività tra Baku e Nakhichevan come base “per unire tutto il mondo turcico.”[3] Il presidente Erdogan in quell’occasione ha incoraggiato l’apertura del corridoio di Zangezur, dicendosi pronto a fare “tutti i passi necessari” per rilanciare la regione come “hub logistico e di transito”. Ulteriori prove del supporto turco al progetto non sono difficili da trovare[4], e la stessa Organizzazione degli Stati Turchi, un organismo internazionale guidato di fatto da Ankara, inserisce il corridoio di Zangezur tra i progetti di integrazione regionali di cui si auspica “l’apertura il più presto possibile”[5].

Il presidente turco Erdogan e l’omologo azero Aliyev in occasione dell’inaugurazione dell’aeroporto di Fuzuli, Azerbaigian, 2021 (Anadolu Ajansı)

L’entusiasmo di Ankara verso il progetto azero ha a che fare con la centralità strategica che il Caucaso meridionale rappresenta per gli scambi commerciali a livello eurasiatico e in particolare per la Turchia, che vede nella regione un potenziale di connettività sia verso l’asse Nord-Sud (Russia-Iran) che verso i mercati dell’Asia centro-meridionale e orientale. L’elemento geostrategico viene poi rilanciato politicamente utilizzando la retorica del sogno panturco, come emerge dalle dichiarazioni di Aliyev riportate sopra. L’unità politica dei popoli turchi, o di lingua turcica, dai Dardanelli al Syr Darya passando per l’Anatolia e il Mar Caspio, è un sogno ricorrente del nazionalismo turco, che risale almeno al movimento dei Giovani Turchi a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Rinvigorito negli anni Novanta del Novecento con l’indipendenza delle repubbliche turche dell’ex-URSS, il panturchismo è al centro della dottrina politica di “profondità strategica” con cui il presidente Erdogan aspira a ricostruire un ruolo regionale di primo piano per la Turchia nel Medio Oriente e in Asia Centrale.

Difficile definire fino a che punto questa ambizione porti con sé un concreto disegno geopolitico e quanto l’unità panturanica venga impiegata come mero elemento retorico: senza dubbio l’Armenia, e con essa Zangezur e lo stesso Nagorno-Karabakh, occupa una posizione chiave tra l’Anatolia e il Mar Caspio per molti attori regionali. La retorica azera punta a presentare il disegno infrastrutturale di Baku come vantaggioso per tutte le parti, tra cui l’Armenia, che avrebbe un nuovo canale di comunicazione con Mosca, e la Russia e l’Iran, che vedrebbero rafforzato l’asse Nord-Sud e il suo collegamento ai mercati asiatici. Se Mosca si mostra interessata in principio, ma fermamente contraria all’ipotesi dell’extraterritorialità -vera posta in gioco per Baku – molto più rigida e complessa è la posizione iraniana.

Il Caucaso nella guerra fredda mediorientale

Le relazioni azero-iraniane sono stratificate da diversi elementi di tensione latente. A livello macroscopico, questi sono riconducibili a due temi di confronto politico, uno strutturale e uno congiunturale. Il primo riguarda la popolazione di circa 14 milioni (secondo le stime più conservative) di azeri iraniani che vivono nella Repubblica Islamica, per la maggior parte nelle province nord-occidentali del Paese che confinano con il Caucaso meridionale. Nonostante la comunità azera in Iran sia storicamente integrata, essa rappresenta la più consistente minoranza etnolinguistica non persiana del Paese, e Teheran vede con sospetto un nazionalismo azero o panturco che possa coltivare ideali secessionisti.

Cronistoria dei rapporti tra Israele e Azerbaigian

  • 1993: Apertura dell’ambasciata israeliana a Baku.
  • 1994: Fine della prima guerra del Nagorno Karabakh.
  • 2005: L’Azerbaigian comincia ad acquistare equipaggiamento militare israeliano.
  • Novembre 2020: Seconda guerra del Nagorno Karabakh. Il cessate il fuoco mediato da Mosca restituisce i distretti di Agdam, Kalbajar e Lachin all’Azerbaigian.
  • Settembre 2021: Esercitazioni congiunte Baku-Ankara-Islamabad nella capitale azera[6]
  • Ottobre 2021: Esercitazioni iraniane al confine azero[7] e conseguente risposta di Baku.
  • 11 Gennaio 2023: Baku nomina l’ambasciatore azero a Tel Aviv.
  • 27 Gennaio 2023: sparatoria all’ambasciata azera in Iran.

La seconda e più determinante fonte di ostilità tra Baku e Teheran è la posizione marcatamente filoccidentale che l’Azerbaigian ha assunto a partire dall’indipendenza, e in particolare la sua relazione privilegiata con Israele. La cooperazione tra i due Paesi si è sostanziata negli anni soprattutto sul fronte militare; a partire dal 2005, l’acquisto di materiale bellico sofisticato di produzione israeliana è stata la mossa principale per il rafforzamento dell’apparato militare azero. Molte di queste armi, come i droni kamikaze Orbiter, sono state impiegate in modo determinante nella guerra del 2020 in Nagorno Karabakh[8]. Il vantaggio israeliano in questa relazione non è solo l’approvvigionamento di petrolio da una fonte sicura, ma il posizionamento strategico in un’area chiave come il Caucaso, a nord del grande rivale regionale.

Il primo Ministro israeliano Netanyahu e Ilham Aliyev, 2022 (Getty Images)

Teheran si oppone quindi fermamente all’idea che il proprio confine con l’Armenia, Paese amico che gli garantisce la viabilità verso i porti commerciali della Georgia e l’Europa, venga blindato da un Azerbaigian in coordinamento strategico con Tel Aviv, che permetterebbe un’attività di controllo israeliana e una minaccia alla sua sicurezza ancora più incombente di quella già percepita. L’amicizia tra Azerbaigian e Stato ebraico ha raggiunto un nuovo con la nomina dell’ambasciatore azero a Tel Aviv dell’11 gennaio 2023, prima rappresentanza diplomatica di un Paese a maggioranza sciita a insediarsi nella capitale israeliana.

Nel “corridoio di Zangezur” si incrociano dunque gli interessi che coinvolgono le potenze regionali del Medio Oriente e i grandi mercati asiatici di Cina, India e Pakistan, che nel Caucaso Meridionale vedono un passaggio commerciale di grande importanza, in particolare dopo la chiusura della rotta russo-ucraina. In questo contesto, gli attori paradossalmente più marginali, almeno in rapporto al loro potenziale d’influenza, sono la Russia e l’Unione Europea. Entrambi hanno cercato di inserirsi nel conflitto armeno-azero come mediatori, l’una per conservare e l’altra per guadagnare protagonismo politico nell’area. Sono però accomunate dalla necessità di mantenere buoni rapporti con Baku in ragione del suo potenziale energetico e della “fratellanza” con la Turchia, senza però permettere una capitolazione armena che aumenterebbe pericolosamente l’autonomia strategica del Paese e dell’alleato turco nelle sue relazioni con gli attori regionali e globali.

Paolo Bottazzi

Riferimenti bibliografici

[1] https://www.rferl.org/a/armenia-azerbaijan-karabakh-cease-fire-russia/32334158.html

[2] https://eurasianet.org/azerbaijan-steps-back-on-demands-for-zangezur-corridor

[3] https://www.aa.com.tr/en/world/new-azerbaijani-connecting-corridor-set-to-unite-entire-turkic-world/2403788

[4] https://www.trtworld.com/turkey/t%C3%BCrkiye-supports-immediate-opening-of-strategic-zangezur-corridor-58340

[5] https://www.turkicstates.org/en/isbirligi-alanlari#4-transport-cooperation

[6] https://www.newarab.com/analysis/whats-driving-tensions-between-azerbaijan-and-iran

[7] https://www.newarab.com/news/azerbaijan-turkey-announce-military-drills-near-iran-border

[8] https://armenianweekly.com/2023/03/08/israels-massive-supply-of-sophisticated-weapons-to-azerbaijan/

Tags: ArmeniaAzerbaigianCaucasoCommercioEnergiageopoliticaIranTurchia
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Paolo Bottazzi

Paolo Bottazzi

Coordinatore desk Caucaso-Asia Centrale. Laureato in Sviluppo Locale e Globale all'Alma Mater di Bologna, coltiva negli anni la passione per le periferie globali, innamorandosi del mondo russo. Ha lavorato in Montenegro a progetti di cooperazione internazionale con la Croce Rossa Italiana.

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