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Home Asia Centrale

Aral – dalla catastrofe ambientale alla (parziale) rinascita di un ecosistema

di Andrea Rosso
22 Settembre 2019
in Asia Centrale, Energia e Ambiente
Tempo di lettura: 6 mins read

Il Lago d’Aral si trova incastonato tra il Kazakhstan e l’Uzbekistan. All’inizio del 900 il Lago d’Aral era considerato il quarto più grande lago al Mondo; l’ecosistema presente forniva cibo e risorse alle comunità locali, in prevalenza pescatori, che vivevano dello sfruttamento e dell’esportazione dei prodotti ittici presenti. Nel corso del secolo il Lago è diventato il teatro di uno dei peggiori disastri ambientali a livello globale, un disastro causato dalle politiche adottate dalle autorità locali che hanno cambiato per sempre gli equilibri di quel sistema, condannando la popolazione a un drastico cambiamento del loro stile di vita. Oggi la situazione sta lentamente migliorando, almeno in parte, grazie alla messa in atto di progetti di recupero e alla cooperazione dei governi dell’area con le istituzioni internazionali.

Il Lago d’Aral è il punto d’incontro dei due fiumi affluenti Syr Darya e Amu Darya. Nell’ambito dei piano di produzione dell’Unione Sovietica, le autorità decisero di ampliare la produzione di cotone, prodotto specifico coltivato nell’area del Lago d’Aral, soprattutto in Uzbekistan e parte del Kazakhstan, attraverso la modifica del corso dei fiumi affluenti del Lago. La necessità di grandi quantità d’acqua per l’irrigazione, unita a una coltivazione monoculturale fece si che nei decenni successivi il livello d’acqua del lago iniziasse a ridursi. In aggiunta, la terra arida una volta bagnata dall’acqua iniziò a rilasciare grandi quantità di polveri e la salinità dell’aria aumentò. Questi due fattori andarono ad unirsi ai pesticidi e veleni utilizzati nella coltivazione del cotone, andando a creare un mix esplosivo e letale per l’intero ecosistema e per la salute della popolazione locale. 

Agli inizi degli anni ’90 il 75% del lago era evaporato. Solo con la fine dell’Unione Sovietica e la nascita delle repubbliche centroasiatiche le autorità locali, lasciate sole e non in grado di gestire la situazione, si decisero a dichiarare l’emergenza e a chiedere la collaborazione della Comunità internazionale. 

Immagine satellitare del Lago d’Aral che mostra la progressiva deserificazione dal 1989 a sinistra, al 2008 a destra

L’isola di Vozroždenie

Un laboratorio e centro di sperimentazione per le armi batteriologiche al centro del Lago d’Aral. Ecco cos’è quella struttura chiamata in seguito Isola della Morte. Negli anni cinquanta i sovietici costruirono un centro per lo studio e lo sviluppo di armi batteriologiche chiamato “Aralsk -7”. I test venivano effettuati su conigli, topi, cavalli, asini, scimmie. La popolazione locale veniva tenuta a distanza e assisteva al transito di camion di rifornimenti, compresi frutti esotici, destinati agli animali presenti sull’isola. Secondo le indagini svolte, ma mai verificate, sull’isola sarebbero stati stoccati, e seppelliti, fusti contenenti antrace. Con la fine dell’Unione Sovietica e lo smantellamento dell’arsenale bellico di tutti i tipi, le autorità di Mosca hanno assicurato di aver smantellato tutte le strumentazioni e gli impianti potenzialmente pericolo. Non è così e nel 1992 il governo dell’Uzbekistan chiede aiuto agli USA. L’esercito americano interviene con tre diverse missioni dedicate alla messa in sicurezza e alla bonifica dell’area nel 1995, 1997 e nel 2000.

La progressiva presa di coscienza da parte dei governi locali, l’impoverimento delle comunità locali e lo stato di estrema povertà dovuto al crollo di un intero sistema economico basato sulla pesca: queste le ragioni alla base dell’avvicinamento e dell’inizio del dialogo tra i governi dell’Uzbekistan e del Kazkahstan e il successivo allargamento ai Paesi dell’Asia Centrale e alla Comunità internazionale.

La cooperazione internazionale: il fondo IFAS e la Diga

Si è svolto nell’estate del 2018 in Turkemnistanil Summit dell’International Found for Saving the Aral Sea (IFAS), il fondo creato dalle cinque repubbliche centroasiatiche al fine di trovare soluzioni e sviluppare le risposte necessarie al recupero dell’ecosistema del lago d’Aral. Nella regione centroasiatica le risorse idriche restano una delle preoccupazioni principali. Dall’altopiano del Pamir, alla Diga di Rogun, l’acqua è stata al centro di tensioni e motivi di conflitto. Una volta venuta meno l’autorità centrale sovietica, i governi hanno sviluppato politiche nazionali spesso in conflitto con quelle dei paesi vicini. Se la Diga di Rogun tra Tajikistan ed Uzbekistan ne è un esempio in negativo, il dialogo e la cooperazione dimostrata in seno all’IFAS è invece un promettente passo in avanti.

I rappresentanti governativi si sono detti disposti a cercare soluzioni con l’obbiettivo di utilizzare le risorse idriche del Lago e dei suoi affluenti in modo più efficiente, permettendo lo sfruttamento dell’agricoltura e al tempo stesso favorendo la rinascita delle comunità di pescatori lungo le sponde del Lago. Tuttavia, permangono necessità particolari come quelle connesse alla coltivazione del cotone in Uzbekistan. Tali attività consumano ingenti quantità d’acqua e hanno un alto impatto sulla situazione dei bacini idrici dell’area. Una cooperazione e dei passi in avanti su tali questioni ad oggi sembra difficile senza un ripensamento drastico dei sistemi produttivi del paese uzbeko.

Il porto vecchio di Aralsk

Un esempio di cooperazione internazionale: la Diga di KoKaral

Situata lungo la costa su del Lago d’Aral, nella parte a nord del Lago, la diga è stata costruita allo scopo di aiutare la ripresa dell’equilibrio dell’ecosistema. Il progetto è il risultato della cooperazione del governo del Kazakhstan con la Banca Mondiale; dal 2005 ha permesso la crescita del bacino idrico di quella parte del lago del 20%. Le comunità locali sono tornate a crescere, i pescatori hanno ripreso la loro attività e hanno potuto esportare i loro prodotti nel resto dell’Asia Centrale e nell’Europa orientale. Il successo del progetto è da ritrovarsi nella stretta collaborazione del Kazakhstan con le istituzioni internazionali ma, anche, con l’economia maggiormente diversificata dell’interno Paese. Al di là del costo economico della singola iniziativa, stimata sui 126 milioni di dollari, i proventi della pesca costituiscono una piccola parte della sviluppata economia kazaka. Da parte uzbeka è più difficile immaginare lo sviluppo di progetti e di soluzioni che forniscano un’alternativa concreta a quel sistema di irrigazione che permette la coltivazione del cotone, il vero oro bianco del Paese. Inoltre, il progressivo inaridimento del suolo ha permesso l’esplorazione da parte di compagnie come Gazprom e Lukoil per lo sfruttamento degli idrocarburi presenti nel sottosuolo. Attualmente un consorzio formato da Gazprom e una compagnia svizzera è attivo ed estrae gas dalla zona.

La situazione di emergenza emersa agli inizi degli anni ’90 ha fatto avvicinare e sedere allo stesso tavolo i governi dell’area. Questo tipo di cooperazione, in accordo con le istituzioni internazionali, è un esempio positivo di fronte a una catastrofe climatica dagli effetti locali e internazionali. Inoltre, una tale disponibilità può influire positivamente su altre dinamiche simili a livello intergovernativo in altre aree del centro asia. Tuttavia, lo sviluppo e la messa in opera di soluzioni alternative risulta difficile laddove un sistema economico poco diversificato non offre alternative allo sfruttamento, anche in modo massiccio, delle risorse idriche del Lago d’Aral, condannando dunque le popolazioni locali e tutto l’ecosistema dell’area. 

Tags: AralEcologiaKazakistanUzbekistan
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Andrea Rosso

Andrea Rosso

Coordinatore desk Energia e Ambiente. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso il SID di Forlì. Ha studiato e lavorato all’estero approfondendo la conoscenza dell’area post sovietica con soggiorni di studio in Russia, esperienze lavorative presso il MAECI e l’OSCE e presso una ONG internazionale in Tagikistan. Già analista energetico, segue con passione gli sviluppi principali inerenti l’energia e l’ambiente nell’area post sovietica e non solo.

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