Con l’inizio del nuovo secolo la repubblica centroasiatica ha attirato l’attenzione cinese su tantissimi fronti: dall’economia alla sicurezza. Mentre la Cina persegue i propri obiettivi, in Kirghizistan questa presenza è sì fruttuosa, ma diventa anche sempre più rischiosa.
L’11 settembre 2013 Xi Jinping bussa alla porta del vicino Kirghizistan portando con sé una serie di accordi economici e una partnership strategica. L’allora presidente kirghiso Atambaev apre ben volentieri le proprie porte di casa al Presidente cinese e ai suoi doni. Due giorni più tardi Xi vola ad Astana per annunciare al mondo il mastodontico progetto della Nuova Via della Seta. Xi punta in alto: mira a creare nuovi corridoi economici dall’ex Impero celeste al vecchio continente. L’Asia Centrale, Kirghizistan incluso, diventa inevitabilmente un bocconcino irresistibile per le ambizioni del Dragone.
Il Kirghizistan necessita dei fondi cinesi
Colpevole il lungo confine di circa 1000 km che li separa, i due Paesi sono riusciti a costruire rapporti economici e politici fin dagli albori dell’indipendenza kirghisa. Ciononostante, solo lo scadere del secolo passato ha portato frutti più concreti.
La situazione economica kirghisa oggi non è delle più rosee tra corruzione, debito pubblico e un’altissima percentuale del PIL derivante dalle rimesse dei lavoratori emigrati in Russia. Situazione che si è poi aggravata con lo scoppio dell’epidemia di Covid-19. Nel 2020 infatti, nonostante le concessioni da parte del FMI, la già compromessa economia kirghisa ha subito una contrazione dell’8%.
Con il tempo la Cina è diventata uno dei maggiori partner della repubblica centroasiatica. Secondo l’Observatory of Economic Complexity, nel 2018 il 52% delle importazioni kirghise veniva proprio dalla Repubblica Popolare Cinese. Per di più, fin dal 2010 la Eximbank ha prestato ingenti somme di denaro, tanto che all’inizio dello scorso anno il 45% del debito kirghiso si trovava in mani cinesi.
Con la Belt and Road Initiative le relazioni economiche tra i due Paesi si sono tradotte in nuovi enormi progetti infrastrutturali, fiumi di Investimenti diretti esteri e scambi di beni e servizi. A livello infrastrutturale ci si è concentrati sulla costruzione o modernizzazione delle principali arterie di comunicazione, come la strada che collega Biškek, Naryn e Torugart o la discussa ferrovia che unisce la Cina con Uzbekistan e Kirghizistan. Numerosi negli ultimi anni anche i progetti a livello energetico, quali la linea D del gasdotto Cina – Asia Centrale o la ricostruzione della principale centrale termoelettrica di Biškek.
Il 2020 ha poi accelerato le tempistiche delle bramosie di Pechino, conferendo alla Cina nuovi strumenti per la propria propaganda: gli aiuti sanitari e il vaccino. Questi aiuti fanno parte della cosiddetta diplomazia delle mascherine: mentre il Kirghizistan sprofonda nella pandemia e nella crisi economica, il vicino di casa gli porge la mano per salvarlo.
Oltre il mero interesse economico
Al di là degli affari economici, la Cina vede il Kirghizistan come un Paese strategico per preservare la stabilità nell’intera Asia Centrale. Per questi motivi Pechino si impegna anche in ambito di sicurezza con diversi mezzi. Tra questi anche il soft power: la Cina ha infatti aperto quattro Istituti Confucio, attraverso i quali tenta di promuovere la propria cultura e la propria visione del mondo.
Nel 2002 il Kirghizistan ha ospitato la prima esercitazione della Shanghai Cooperation Organization (SCO), all’interno della quale Cina, Russia e altri sei Paesi tentano di contenere tre mali cronici nell’area: separatismo, terrorismo ed estremismo. Non sono tuttavia mancate le critiche, come quando nel 2010 la SCO optò per non intervenire durante le rivolte di Osh.
Tra il 2003 e il 2016 si sono tenuti 19 meeting di alto livello e 10 esercitazioni militari tra i due Paesi. L’ultima risale all’estate del 2019, quando le forze armate kirghise e cinesi hanno sfoggiato le loro capacità di interoperabilità in una base di addestramento nella regione cinese dello Xinjiang.
Fin dagli inizi degli anni ’90 proprio questa regione aveva portato la Cina e i Paesi centroasiatici a cooperare per tenere a freno la minaccia separatista della minoranza uigura musulmana. La Cina ha ormai da tempo iniziato un processo di rieducazione e sinizzazione dei propri territori occidentali. Tuttavia, in quelle zone vivono anche diversi gruppi di kazaki e kirghisi, a molti dei quali è stata riservata la stessa sorte.
La questione è stata posta sotto i riflettori con diverse testimonianze da parte di coloro che sono riusciti a scappare dai centri di rieducazione. Nonostante l’ex presidente Jeenbekov abbia ammesso l’esistenza del problema nel 2018, lo stesso ha anche ricordato di non voler interferire negli affari interni del proprio vicino.
Verso una crescente sinofobia
All’inizio della pandemia, stranamente nessun paese centroasiatico ha puntato il dito contro la Cina per il cosiddetto “paziente zero”. Jeenbekov, infatti, ha dichiarato di aver intercettato il primo caso su un volo proveniente dall’Arabia Saudita a metà marzo.
Tuttavia, esiste un sentimento anticinese sempre maggiore all’interno della popolazione kirghisa. Già dall’inizio dello scorso decennio il gruppo nazionalista Kyrk Choro (letteralmente “quaranta cavalieri”) ha iniziato dei veri e propri raid nei confronti dei lavoratori cinesi accompagnati da donne kirghise. Il 2019 poi si è aperto con fortissime proteste in piazza Ala-too nella capitale. La stessa situazione si è ripresentata nel febbraio dell’anno scorso nella città di At-Bashi, portando alla cancellazione della costruzione di un centro logistico approvato durante una visita di Xi nel 2019.
Simili dissapori si riscontrano anche in uno degli ambiti in cui la Repubblica Popolare Cinese si dimostra un leader: la tecnologia. Siamo talmente abituati a sentir parlare di Smart City, che probabilmente ci siamo persi per strada l’esistenza della Safe City. I progetti di Safe City sono approdati in Kirghizistan ormai da qualche anno. A Biškek è stato implementato il primo esperimento con lo scopo di rendere la capitale più sicura attraverso l’uso della tecnologia intelligente della CEIEC (China National Electronics & Export Corporation). Insomma, a prima vista sembrerebbe una situazione win-win. Tuttavia, mentre Biškek ci guadagna relativamente in sicurezza, Pechino punta i suoi occhi da Grande Fratello sui cittadini kirghisi e acquisisce dati fondamentali che le permettono di affinare le proprie tecnologie.
Con l’arrivo del nuovo presidente Sadyr Japarov si prospetta una sorta di continuità con il passato nei confronti della Cina. Dunque, mentre l’avanzata cinese permea in tutti gli strati della vita kirghisa, la repubblica centroasiatica appare sempre più divisa tra la necessità di cooperazione da un lato e la dilagante sinofobia dall’altro.