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Home Caucaso

Armenia: il dopo voto e le difficili sfide del governo Pashinyan

di Marco Limburgo
12 Dicembre 2018
in Caucaso, Economia, Relazioni internazionali 2018
Tempo di lettura: 4 mins read
Armenia: il dopo voto e le difficili sfide del governo Pashinyan

A winter view of Yerevan, Armenia, with the backdrop of Masis (Mount Ararat).

Nel precedente articolo sull’Armenia avevamo lasciato il Paese alle prese con l’appuntamento elettorale previsto per il 9 di dicembre. Dopo il successo della rivoluzione di velluto, che in modo assolutamente pacifico ha destituito il governo sempre più autoritario di Serž Sargsyan, è andata a consolidarsi la figura dell’ex giornalista riciclato alla politica nonché principale volto e ideatore delle proteste, Nikol Pashinyan. Divenuto primo ministro dopo le dimissioni forzate del predecessore, si era ritrovato con il pesante fardello di un parlamento quasi completamente egemonizzato dai partiti avversi (forte era la compagine di deputati della forza politica precedentemente al potere, il Partito Repubblicano) e quindi non ha destato scalpore la decisione del primo ministro di rassegnare le dimissioni e convocare nuove elezioni, sfruttando il successo di risultati ampiamente positivi a livello locale e capitalizzando il prestigio al fine di ottenere una forte maggioranza parlamentare.

Come ampiamente previsto il partito di Pashinyan, l'”Alleanza Il mio passo”, ha ottenuto una larghissima vittoria elettorale che, con il 70% di voti, lascia ben poco spazio alle rimostranze degli oppositori. Quasi completamente cancellato il residuo supporto al Partito Repubblicano che, con il 4,7% dei voti, rischia di andare incontro a una quasi scontata dissoluzione. A entrare in parlamento, superando la soglia di sbarramento del 5%, solo i conservatori filorussi di “Armenia Prospera” e i liberali pro-Europa di “Armenia luminosa” con l’8,27% e il 6,37% rispettivamente. Restano fuori dai giochi anche i nazionalisti di Sasna Tsrer (gli attivisti protagonisti della crisi degli ostaggi del 2016 a Yerevan) e la Federazione Rivoluzionaria Armena, storico partito socialista fra i più antichi del Paese.

L’affluenza al 49% è stata criticata dagli oppositori come segno della pesante disaffezione dell’opinione pubblica. Ma è un dato ingannevole: nel processo di voto in Armenia si contano anche i cittadini presenti all’estero (la diaspora è sempre stata una componente fondamentale della vita sociale, culturale ed economica della nazione) i quali, per difficoltà e cattiva gestione, non sempre riescono attivamente ad esprimere la propria preferenza, senza contare le croniche difficoltà nella mobilitazione dei cittadini rurali (carenza di autobus e servizi). Un’affluenza che più realisticamente si attesta, quindi, intorno al 62%. Gli osservatori delle organizzazioni internazionali non hanno riscontrato palesi irregolarità o pressioni e quindi abbiamo potuto assistere a un processo elettorale trasparente, partecipato e con un risultato ampiamente previsto.

Non sono certo mancate le contestazioni da parte dei partiti sconfitti che hanno denunciato un pesante clima intimidatorio, frutto dell’afflato rivoluzionario che tuttora pervade la nazione. Ma il risultato deludente dei repubblicani e degli altri partiti considerati establishment non può che essere causato dalle cattive politiche passate che hanno reso il sistema politico armeno fra i più corrotti, nepotisti e clientelari nel Caucaso. Pashinyan ha impegnato notevoli energie personali nella campagna elettorale che lo ha visto organizzare raduni di piazza in ogni angolo del Paese, senza contare l’uso massiccio dei social media. I suoi avversari, invece, han preferito un approccio più remissivo, promuovendo la protezione dei valori tradizionali messi in pericolo da un governo potenzialmente vicino all’Europa o paventando una vittoria troppo larga della compagine “Il mio Passo” che potrebbe trasformare il Paese in un’autocrazia a partito unico come nel caso del vicino Azerbaijan. Il controllo quasi totale del parlamento lascerà mano libera alla coalizione del primo ministro, ma forse sono proprio le aspettative e il clima di grande fiducia che potrebbero maggiormente danneggiare la futura tenuta del governo.

Le sfide che il Paese si appresta ad affrontare, dalla politica interna a quella estera, sono relativamente ampie e la necessità di riforme strutturali richiederà dei sacrifici che la già provata popolazione potrebbe dimostrarsi incapace di affrontare e sopportare. Se il vangelo rottamatore di Pashinyan ha sedotto una grande maggioranza trasversale dei cittadini armeni, le politiche realiste e le congiunture internazionali rischiano di diffondere una disillusione generale, che potrebbe scavare un solco profondo fra cittadinanza e politica, aprendo la strada a pericolose derive estremiste o autoritarie.

​Una revisione dell’apparato economico deve essere la necessaria priorità del Governo: tamponare la proibitiva situazione del deficit di 34,8 miliardi di dram, lottare contro la corruzione diffusa, creare posti di lavoro nei servizi, diversificare l’economia troppo dipendente dall’import-export russo o dalle rimesse dei 6 milioni di immigrati (di questi, due lavorano principalmente nelle grandi città russe), attrarre investimenti dai progetti di collaborazione in costante crescita con l’Unione Europea e per ultimo (ma non meno importante) contrastare il potere economico e di conseguenza politico degli oligarchi legati al vecchio governo con interessi ramificati principalmente nelle province. Contro questi oligarchi si è espresso più volte e con asprezza lo stesso Pashinyan:

“Mi riferisco a quei sindaci e amministratori di villaggi: sappiate che personalmente vi verrò a trovare, vi prenderò per la gola e vi butterò fuori dai vostri uffici”. Non dovete camminare nelle strade del Paese. Il vostro posto è in prigione e voi tutti – criminali, saccheggiatori e canaglie –ci finirete”

Ma ancora scarse e insufficienti appaiono le misure prese fin ora. Non sarà solo l’economia ad agitare il dibattito interno nei prossimi anni, ma anche il fortissimo tasso di emigrazione che non accenna a diminuire (complice la fuga di laureati, imprenditori o semplici lavoratori manuali), privando il Paese di necessari capitali umani; la crisi demografica sempre più drammatica e l’invecchiamento della popolazione che renderà necessarie nuove e più stringenti leggi in campo pensionistico.

“Mi riferisco a quei sindaci e amministratori di villaggi: sappiate che personalmente vi verrò a trovare, vi prenderò per la gola e vi butterò fuori dai vostri uffici. Non dovete camminare nelle strade del Paese. Il vostro posto è in prigione e voi tutti – criminali, saccheggiatori e canaglie – ci finirete”

Pashinyan

Tags: ArmeniaelezioniNikol Pashinyan
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Marco Limburgo

Marco Limburgo

Da sempre appassionato di storia, letteratura e politica internazionale si laurea a Bologna in Storia Contemporanea e decide, successivamente, di trasferirsi a Forlì per studiare Scienze Internazionali e Diplomatiche, dove si laurea nel 2020. Socio fondatore di Osservatorio Russia, contribuisce al progetto con analisi inerenti all’Asia Centrale e alle relazioni tra Medio Oriente e Russia, nonché curando la rubrica di approfondimento storico Smolensk, di cui è coordinatore.

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