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Home Politica estera russa

La confusa spirale del caso Skripal’

di Claudia Ditel
16 Marzo 2018
in Politica estera russa, Relazioni internazionali 2018
Tempo di lettura: 6 mins read
File_Vladimir_Putin_and_Theresa_May_2016-09-04_03.jpg

​Lo scorso 4 marzo, a Salisbury, l’ex spia Russa Sergej Skripal’ viene soccorso insieme alla figlia Yulia, entrambi in gravi condizioni per avvelenamento da agente nervino. Al momento i due sono ricoverati in ospedale.

Il passato dell’ex spia russa si rivela tutt’altro che lineare. Sergej Skripal‘, 66 anni, inizialmente al servizio dell’intelligence segreta russa, a partire dal 1995 ha collaborato con i servizi segreti britannici dell’ MI6, dai quali era stato avvicinato su segnalazione dei servizi segreti spagnoli durante una missione in Spagna. Da quell’anno ha contribuito con i servizi britannici per la durata di dieci anni, passando informazioni sull’agenzia di intelligence russa GRU.

Negli ultimi giorni, la premier britannica Theresa May, dopo aver dichiarato come l’avvelenamento abbia costituito un attacco alla sovranità dello Stato, ha posto un ultimatum alla Russia, chiedendo al Governo di Mosca di cooperare non solo sul seguente caso, ma anche su altri 14 casi di morte sconosciuta in cui si sospetta la mano dell’intelligence russa. Si è scoperchiato così un vaso di Pandora, in quanto le tensioni tra i due Stati vertono intorno ad altri casi irrisolti in cui non sono mai state del tutto escluse le implicazioni della Russia. Ad esempio, le testate dei quotidiani britannici in questi giorni non si sono astenute dal richiamare alla mente dei lettori il caso della morte dell’ex politico russo Boris Berezovskij, oppositore del Presidente Putin e rifugiato in Gran Bretagna dal 2000, di cui si è scettici rispetto al dichiarato suicidio avvenuto nel marzo del 2013. Il clima di turbamento è esacerbato inoltre dalla morte di Nikolaj Gluškov, amico dello stesso Boris Berezovskij, il cui cadavere è stato trovato nella notte dello scorso lunedì 13 marzo e la cui causa del decesso semina perplessità, anche tra la stampa russa. Nella testata nazionale russa Kommersant’ si legge di “sospetti segni di strangolamento”, escludendo quindi l’ipotesi del suicidio.

In ogni caso, l’inchiesta assume sempre più i contorni di un intrigo di livello internazionale. Essendo la Gran Bretagna membro dell’Unione Europea, quest’ultima viene logicamente coinvolta nelle decisioni circa le contromisure da prendere nei confronti di Mosca. Il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, esprime solidarietà al governo di Londra e sollecita il Consiglio Europeo a collaborare con le autorità britanniche. Il sostegno arriva anche a livello delle singole autorità nazionali, con i rispettivi premier tedesco e francese, Merkel e Macron, che hanno espresso il pieno appoggio a Londra e hanno sollecitato Mosca ad adottare un atteggiamento cooperativo. Tra le prese di posizione più dure vi è quella del ministro degli Esteri della Lituania Linkevičius, il quale, in linea con una retorica refrattaria di stampo anti-russo, inquadra questo attacco in un continuum con la crescente aggressività mostrata nell’annessione della Crimea e nella partecipazione al conflitto in Siria e che necessita una volta per tutte di una chiara opposizione da parte dei governi occidentali. Al di là del contesto europeo, anche Trump ha espresso il sostegno di Washington nelle indagini.

L’ultimatum della premier britannica a Mosca presuppone l’adozione di una serie di possibili ritorsioni, in uno scenario in cui il ritiro della squadra inglese dalla World Cup sembra essere la prospettiva più ottimista. Il range di misure probabili va da una nuova ondata di sanzioni alla possibilità di espulsione di 23 agenti diplomatici – la più vasta dai tempi della Guerra Fredda – e al congelamento di account bancari, che andrebbero senza alcun dubbio a minare le finanze di una vasta parte delle cariche più vicine al governo del presidente Putin, le quali registrano nella maggior parte dei casi accounts nelle banche londinesi. Londra ha già dichiarato la possibilità di ritiro di inviati per la stampa britannica in Russia e la chiusura della sede di Russia Today nel Regno Unito. Il ministro degli esteri russo Lavrov si è espresso al riguardo definendola una “chiara provocazione internazionale”.

Non si esclude neanche la possibilità di un cyberattack come contromisura, potendosi Londra appellare all’art. 51 delle Nazioni Unite, il quale autorizza la risposta individuale o collettiva come ritorsione contro uno Stato che ha usato illegittimamente la forza contro un altro paese. In questo caso si andrebbe a generare una spirale di cyberattacks da ambo le parti, avendo i servizi di intelligence britannici niente da invidiare a quelli russi. Dunque, la Gran Bretagna deve ponderare strategicamente le diverse opzioni che ha a disposizione e al momento non c’è univocità in merito alle risposte che la diplomazia Britannica può adottare. Come affermato da Alexander Klimburg, direttore del dipartimento di Cyber Policy and Resilience Program del centro dell’Aia per gli Studi Strategici, la molteplicità di strumenti a disposizione per colpire con un cyberattack sono infiniti. “Qualsiasi misura voi possiate immaginare, è realizzabile” afferma. In particolare, la possibilità di congelamento degli asset del personale vicino a Putin sembra l’opzione più condivisa nei think tank del cyber policy. Si tratterebbe di colpire il legno là dove scricchiola di più e le finanze sono chiaramente il punto debole della Russia.

“Qualsiasi misura voi possiate immaginare, è realizzabile”.

​Alexander Klimburg

​Una voce fuori dal coro nel contesto occidentale è quella di Jeremy Corbyn, che in un articolo pubblicato su The Guardian suggerisce alla premier britannica e alle autorità occidentali che si sono già apertamente schierate di procedere cautamente in un contesto in cui la tensione è altissima e si parla addirittura di un revival della Guerra Fredda. Inoltre il leader dei laburisti britannici non si astiene dal richiamare i casi in cui in passato l’intelligence britannica ha commesso degli errori, per esempio relativamente all’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. In altre parole, il messaggio è che non avrebbe senso puntare il dito se le indagini non hanno portato ad un risultato concreto e spendibile nel dialogo con la Russia.

Ad est il governo di Mosca, invece di rifiutare l’ultimatum di collaborazione, ha sottoposto la sua attuazione all’osservanza da parte di Londra degli obblighi internazionali derivanti dall’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche con sede all’Aia. Solo in caso di mancata collaborazione lo Stato denunciante può presentare l’istanza in sede del Consiglio esecutivo dell’Organizzazione.

Il governo di Mosca si è chiaramente mostrato pronto a rispondere alle mosse fino ad adesso adottate da Londra, in particolare in merito all’espulsione dei diplomatici russi. Il ministro degli esteri Lavrov si è infatti dichiarato pronto a procedere con la speculare estromissione dei diplomatici britannici, in un gioco di tit-for-tat, strategia che comunque non presuppone il rifiuto alla collaborazione.

Nel contesto delle Nazioni Unite, la contrapposizione tra Russia e Gran Bretagna non è meno marcata. Vasilij Nebenzja, rappresentante permanente della Federazione Russa, fa notare la diversità delle fonti che testimoniano come l’intelligence occidentale in passato abbia ingaggiato diversi specialisti russi per riprodurre l’arma chimica nel territorio della Gran Bretagna. Sembrerebbe inoltre che lo stesso Ministero della Difesa britannico ne fosse in possesso.

Quel che è certo è che, nella complessa rete di indagini intorno al caso Skripal’, più si va a fondo con l’inchiesta più si viene disorientati dalla dimensione che la vicenda assume. Indipendentemente dall’esito della ricerca – che non si esclude si possa concludere con l’archiviazione del caso Skripal’ insieme ai quattordici casi di morte sospetta che hanno portato all’escalation di tensione tra Londra e Mosca – è innegabile che chiunque abbia voluto minare l’equilibrio politico di uno dei due paesi o di entrambi abbia meditato sul momento giusto per colpire nel segno. Da una parte, un Paese solo contro i Governi europei nelle trattative per la Brexit e che ora, volente o nolente, si trova costretto a collaborare con gli stessi in risposta alla minaccia russa con in gioco la sua stessa credibilità. Dall’altra, un governo che, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, è impegnato a difendere il proprio prestigio sullo scenario mondiale, in cui le circostanze portano inevitabilmente a domandarsi: se non si è trattato di un atto pianificato e doloso, allora siamo di fronte ad un Governo che non è in grado di esercitare il controllo sulle sue forze di intelligence?

Tags: caso SkripalinchiestaSergeJ SkripalTheresa May
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Claudia Ditel

Claudia Ditel

Claudia nasce a Sassari nel 1994 e nel 2013 si trasferisce a Napoli per studiare Relazioni Internazionali e russo all’Orientale, dove si laurea con una tesi sulla prospettiva della Russia rispetto alla creazione di un esercito europeo. La passione per gli studi sulla Russia la porta a intraprendere un progetto di volontariato nella città di Yaroslavl nell’estate del 2016 e a continuare il percorso di studi all’Università Alma Mater di Bologna, Campus di Forlì, dove attualmente è iscritta al primo anno del MIREES (Master of Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe). Con entusiasmo ho deciso di contribuire a far crescere il progetto Russia 2018, che considero un’iniziativa credibile e originale, perché sulla Russia c’è sempre tanto da dire ma non è mai abbastanza.

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