Si respira aria di nervosismo fra Russia, Ucraina e Turchia dove da qualche giorno dinamiche geopolitiche ed ecclesiali stanno mettendo in luce divisioni e fragilità tra le leadership religiose della chiesa ortodossa orientale che potrebbero innescare processi irreversibili causando un ulteriore scisma nella comunità cristiana, dopo la dolorosa e insanabile ferita del 1053. Oggetto del contendere, ovverosia la volontà della comunità di fedeli ucraini di acquistare l’indipendenza (non ancora ottenuta dalla caduta dell’Unione Sovietica) dalla leadership di Mosca, sta incontrando dure reazioni da parte del patriarca russo Kirill, in un innalzamento di toni fra minacce di ritorsioni e rottura di secolari consuetudini dottrinali.
Al fine di capire i motivi di questo contrasto occorre però comprendere le radici di tale avversità: la Chiesa ortodossa orientale, a differenza della cattolica, non si riconosce in un’unica guida ma è divisa fra diverse fazioni che fanno capo ad altrettanti patriarchi indipendenti, con sede in città storicamente rilevanti per l’ortodossia (Alessandria d’Egitto, Antiochia, Mosca, Belgrado e via dicendo). Un ruolo di maggior prestigio, però, compete al patriarca di Costantinopoli, referente per la comunità greca e per l’esigua minoranza cristiana turca. Una reputazione che ovviamente rimanda all’enorme valore simbolico del passato bizantino, al pesante retaggio storico e alla prassi teorica che vuole i russi eredi della grandezza di Roma imperiale e del messaggio ecumenico della vera fede. I numeri (all’incirca 150 milioni di fedeli) e il supporto costante e generoso dello Stato permettono però alla Chiesa di Mosca di far valere un’influenza sproporzionatamente maggiore sull’ecumene ortodosso mondiale, dai Balcani all’Asia Centrale, in un contesto in cui la religione sempre più spesso compenetra la vita politica e si fa strumento di influenza e potere.
La Chiesa ortodossa russa sta vivendo un periodo di prestigio e di fioritura culturale non indifferente. Dopo le devastazioni, le purghe di religiosi e l’ateismo iconoclasta del periodo sovietico la Chiesa, coriacea e resiliente, cavalcando l’ondata nazionalista del post guerra fredda, ha saputo riprendere il proprio spazio nel palcoscenico della società russa: aumenta sensibilmente il numero dei russi che frequentano attivamente le funzioni religiose e si definisce ortodosso, mentre cala il numero degli atei e degli agnostici. Numeri che hanno attirato le attenzioni del Cremlino, nella persona di Vladimir Putin, che fin dagli albori della sua ascesa al potere ha cercato di rilanciare un immagine delle Russia maggiormente prospiciente al glorioso passato zarista e imperiale, inserendo la Chiesa in un complesso e variegato pantheon di valori da contrapporre ai nemici interni e esterni. Un passato glorioso quando Chiesa e Stato si legittimavano, plasmando l’ethos e l’anima della nazione russa.
La religione è un importante strumento di soft power tanto più che un’importante comunità di osservanti ortodossi vive in Ucraina, divisa fra membri di un’istituzione fedele a Mosca, una Chiesa sostenuta da Kiev (ma senza aver ottenuto alcuna ufficialità da Costantinopoli) e una terza minoritaria e indipendente in contrapposizione alle prime due. L’Ucraina, flagellata da una guerra fratricida fra i lealisti ucraini e i filorussi dell’est (assistiti più o meno velatamente dal Cremlino) e amputata della strategica penisola di Crimea, ha tutte le intenzioni di chiudere fermamente ogni legame con il potente vicino ad Est posizionandosi vigorosamente nel fronte filoeuropeo. Aumentando l’efficienza delle proprie forze armate (non esitando ad arruolare milizie radicali e paramilitari), rafforzando l’identità etnica, sfruttando il risorgente simbolismo di oscure organizzazioni e personaggi del periodo della resistenza antisovietica (e di conseguenza antirusso) e tagliando alla radice i vincoli economici e transfrontalieri con Mosca. La manovra del presidente ucraino Petro Porošenko appare, quindi, figlia dei tempi ed è condivisa da una larga parte degli ucraini che in maggioranza disapprovano l’atteggiamento ambiguo e attendista (se non apertamente complice) dei membri del clero, ostaggio, a loro dire, dell’arroganza e dello strapotere delle élites moscovite in una nazione in cui la russofobia, dialettica quotidiana, è vitale nei processi decisionali.
La richiesta dell’autocefalia probabilmente sarebbe caduta nel vuoto normativo se l’assertività ucraina non avesse incontrato segni di nervosismo da parte del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, che già da tempo intende smarcarsi dal soffocante abbraccio russo indirizzando un importante messaggio all’intera comunità: solamente il “primus inter pares” con sede nella capitale turca possiede il potere di concedere l’indipendenza ad una comunità di fedeli, ribadendo il proprio importante ruolo nell’ecumene e impedendo alla Chiesa russa di esercitare la propria influenza sui territori di competenza di Kiev (di grande interesse simbolico in quanto luoghi simbolo della cristianizzazione degli slavi del nord). I prelati di Costantinopoli lamentano, inoltre, l’eccessiva influenza dell’aggressivo nazionalismo russo nella narrazione e nella leadership della Chiesa stessa. Moltissime figure religiose hanno apertamente appoggiato Russia Unita, il partito di Governo, disobbedendo a una delle regole non scritte (ma non per questo meno sacre) che riconoscono nell’organizzazione religiosa un garante indipendente dei bisogni spirituali e formativi di ogni fedele, indipendentemente dalla fede politica. Infine, privare la Chiesa russa di un importante numero di fedeli ne ridurrebbe il potere negoziale nei confronti di un ambizioso progetto che i patriarchi di Mosca e Costantinopoli, parimenti, gareggiano per patrocinare: la normalizzazione delle relazioni ecumeniche con il papato di Roma. Papa Francesco ha più volte inviato messaggi di conciliazione ai “fratelli dell’est” imbattendosi (nonostante qualche importante progresso) nella particolare struttura divisiva e litigiosa degli ortodossi.
Sulla spinosa questione si è espresso chiaramente il metropolita Hilarion, portavoce delle relazioni esterne della chiesa russa: “Noi, la Chiesa russa, non riconosceremo questa autocefalia, naturalmente, e non avremo altra scelta se non quella di separare i legami con Costantinopoli”. Dichiarazioni di fuoco e propositi secessionisti, infatti, hanno accolto la decisione di Bartolomeo in quel di Mosca che al fine di contrastarla potrebbe fare leva su un importante strumento in suo possesso: il potere economico. Il patriarcato di Mosca, il più florido economicamente, è il maggiore contribuente finanziario alle attività della Chiesa all’interno e all’esterno dei confini dell’ortodossia. Le donazioni private, gli affari immobiliari, i contatti con il governo e gli oligarchi hanno permesso al clero di Mosca di estendere le proprie operazioni al di fuori dei confini nazionali coadiuvando e talvolta sostituendosi a Costantinopoli, a sua volta troppo spesso incapace di far quadrare i conti e ostacolata dal poco collaborativo governo turco.
“Noi, la Chiesa russa, non riconosceremo questa autocefalia, naturalmente, e non avremo altra scelta se non quella di separare i legami con Costantinopoli.”
Hilarion
Il governo e la Chiesa di Mosca giocheranno tutte le carte in loro possesso perché impossibilitati a perdere questa vitale partita: finché i fedeli di Kiev resteranno nella famiglia di Mosca, il patriarcato e il Governo russo potranno sfruttare il loro numero e la loro posizione geografica come importante strumento di legittimità, portando avanti l’ambizioso piano di destabilizzazione dei vicini potenziali alleati della Nato e portando avanti il rilancio della nazione fra l’olimpo delle grandi potenze. Se la decisione di Bartolomeo I terrà conto degli strali e delle più o meno velate minacce di Mosca dipenderà anche dall’appoggio dagli altri collegi patriarcali che fino ad ora si sono dimostrati freddi o per nulla interessati a prendere parte alla spinosa diatriba.
Se alla fine a spuntarla sarà Bartolomeo I o Kirill si saprà a breve, ma sicuramente l’immagine della chiesa orientale, e cristiana in generale, ne verrà danneggiata. Scandali, corruzione, secolarizzazione continuano a sfidare l’influenza della Chiesa nella vita e nella società umana e solamente l’unità e il dialogo possono rappresentare un argine efficace alle sfide che attendono la collettività dei fedeli di Cristo.