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Home Politica e Società

La lotta al terrorismo in Russia: origini, minacce, repressione

di Mattia Baldoni
19 Novembre 2018
in Politica e Società, Politica interna e società russa, Russia
Tempo di lettura: 8 mins read
Islam-Russia-Prayer.jpg

[Parlando dei foreign fighters in Siria]
Terminata la guerra, molti di questi probabilmente torneranno nei loro Paesi a continuare la loro jihad.
Centinaia di questi provengono dalla Russia o dall’Asia centrale Ex-URSS.
Come pensa che la Russia affronterà questo problema?

Uccidendoli tutti. Non scherzo. Uccidendoli tutti. […]
Non possiamo permetterci che tornino in Russia. Per questo l’intelligence sta elaborando diversi piani, come le uccisioni mirate, sì, segnalandoli e impedendone il rientro. Non c’è altro modo.
Non possiamo permetterci di farli ritornare, data la complessa situazione della comunità musulmana in Russia, nel Caucaso, in Asia Centrale.

Diretta, chiara, senza mezze misure. La risposta datami da un importante studioso russo (intervistato lo scorso anno a Bologna) non lascia spazio alla fantasia. E se una tale schiettezza da parte di un accademico mi aveva allora sorpreso, le sue parole restano senza dubbio emblematiche dell’importanza e della centralità della lotta al terrorismo, dentro e fuori dai confini della Federazione Russa. La storia recente e la composizione socioculturale della Russia sono sicuramente tra i fattori determinanti di questa particolare attenzione.

Esclusi pochi sparuti casi di rivendicazioni individuali (come il recente attentato alla sede del FSB di Archangel’sk) o di altri estremismi (gruppi ultranazionalisti, neonazisti, antisemiti), gran parte dei movimenti e delle attività terroristiche in Russia sono riconducibili a sigle legate al terrorismo islamico, che si è facilmente organizzato e diffuso nella fragile Russia post-sovietica dei durissimi anni Novanta. Oggi si stima che nella Federazione Russa vivano circa 10-13 milioni di fedeli musulmani, principalmente nell’area del Caucaso settentrionale, in Tatarstan e nel Baškortostan; inoltre, l’Azerbaijan e le ex-Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale sono tutti Stati a maggioranza islamica. Trattandosi spesso di regioni economicamente depresse e periferiche, il jihadismo può trovare facilmente terreno fertile in alcune di queste comunità, come dimostra la provenienza di molti gruppi (ad esempio, l’Emirato del Caucaso, Azerbaijani Jamaat, Dagestani Jamaat) o singoli attentatori (i responsabili degli attentati di Parigi, New York, Stoccolma, San Pietroburgo ed Istanbul tra 2017 e 2018 sono tutti giovani emigrati di etnia uzbeca, kirghisa, cecena).

La presenza dell’Islam in Russia. In verde, le regioni a maggioranza musulmana: nel Caucaso la percentuale di fedeli oscilla tra il 70 – 95%; altrove supera il 55 – 60%

​Scomparso il monolite sovietico (la cui discutibile ingegneria sociale e territoriale è spesso alla base dei conflitti etnici tutt’oggi accesi) le spinte separatiste e altre istanze indipendentiste hanno iniziato a prendere forza, spesso legandosi all’estremismo religioso. Approfittando del caos istituzionale, la violenza degli attacchi e degli scontri civili ha preso rapidamente il sopravvento: Nagorno-Karabakh, Ossezia, Abcasia, Dagestan, Cecenia sono alcuni degli esempi più lampanti dell’instabilità venutasi a creare, e con essa il proliferare di gruppi e movimenti estremisti. Tra le azioni più violente figurano gli attentati dinamitardi in alcuni palazzi residenziali di varie città russe nel 1999 (293 morti), a Groznyj nel 2002 (83 morti), la crisi degli ostaggi del Teatro di Mosca nello stesso anno (oltre 130 morti) o nella scuola di Beslan nel 2004 (334 vittime), fino al più recente incidente del volo Metrojet Flight 926 nel 2015 (224 morti).

Global Terrorism Database ha calcolato circa 2194 attacchi terroristici in Russia dal 1991 al 2017 (quasi la metà sono stati sventati o non hanno riportato vittime); oltre 4000 persone sono morte e più di 7000 sono state ferite.


Reparto del FSB in azione

L’attenzione per le dinamiche e le minacce del terrorismo, di conseguenza, è estremamente elevata. Negli ultimi 25 anni si sono susseguiti numerosi decreti presidenziali su questa delicata materia; la più recente e completa è la legge N°35-F3 “Sul contrasto del terrorismo” del marzo 2006 (costantemente revisionata ed aggiornata con vari emendamenti, l’ultimo nell’aprile 2018). Il testo evita troppi preamboli e fraseologie. Dai principi enunciati, si evince una lotta senza quartiere e senza mezze misure alla minaccia terroristica; per citarne alcuni:

  • l’inevitabilità della punizione per l’organizzazione di attività terroristiche (art.2 c.4); 
  • l’uso sistematico e complesso di misure politiche, informative e di propaganda, socioeconomiche, legali, speciali e di altro tipo per contrastare il terrorismo (art.2 c.5); 
  • la combinazione di metodi di neutralizzazione pubblici e segreti (art.2 c.9); 
  • inammissibilità delle concessioni politiche ai terroristi (art.2 c.9). 

Integrata dal documento strategico “Concetto di contrasto al terrorismo nella Federazione Russa” del 2009, la strategia del Cremlino è racchiusa in questi due testi. Presa consapevolezza della proliferazione di gruppi e movimenti terroristici e della trasversalità delle loro azioni e progetti, Mosca confida nella lotta coesa, organizzata e condivisa al terrorismo internazionale nelle varie sedi opportune e nelle relative agenzie di sicurezza, in primis in seno all’ONU, ma anche nell’OSCE, nella CSI, nel CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) e nell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, oltre che nei diversi rapporti bilaterali tra Paesi. Insistendo sul terrorismo islamico e i suoi sviluppi in Medio Oriente e Nord Africa, il Cremlino pone particolare attenzione alle misure contro il finanziamento di questi gruppi. Mosca ha spesso denunciato (talvolta per propaganda) l’uso strumentale del terrorismo in funzione destabilizzante in determinati contesti, discutendo spesso il tema negli incontri e nei colloqui internazionali. Della lezione pagata sulla propria pelle in Afghanistan negli anni Ottanta, contro i Talebani foraggiati da USA e Pakistan, è rimasta una profonda cicatrice, che ha segnato la percezione russa delle relazioni internazionali.


Aleksandr Bortnikov, Direttore del FSB dal 2008

In Russia, la minaccia terroristica è monitorata dal FSB (Federal’naja Služba Bezopasnosti), agenzia di sicurezza federale erede del KGB. I principali centri direttivi sono il Comitato nazionale antiterroristico (NAK), che vede la partecipazione delle massime cariche dello Stato e dei Ministri, ed il Servizio per la protezione dell’ordine costituzionale e la lotta contro il terrorismo, a sua volta suddiviso in dipartimenti per competenze e operatività (sotto la sua giurisdizione ricadono i Corpi Speciali Specnaz del FSB, il cui Gruppo Alfa ha preso parte a tutte le crisi degli ostaggi degli ultimi 25 anni). La struttura, particolarmente ramificata e capillare, è diretta dal 2008 da Aleksandr Bortnikov.

L’attività antiterroristica russa oggi è più che mai frenetica e, talvolta, oggetto di critiche per i metodi impiegati e per le accuse pretestuose sollevate verso presunti terroristi. Tra le ultime operazioni da segnalare nel mese di ottobre: in Tatarstan sarebbe stato catturato il leader del gruppo terroristico Hizb al-Tahir al-Islami, organizzazione fondamentalista seguace della dottrina del califfato universale, probabile affiliata alle formazioni terroristiche mediorientali; il 26 ottobre, nella regione di Mosca, 4 presunti foreign fighter dell’IS rientrati dalla Siria sono stati arrestati mentre stavano progettando un imponente attacco terroristico nella Capitale. Queste notizie e una statistica interessante, secondo cui la lingua russa sarebbe la terza più parlata tra combattenti dello Stato Islamico, ci danno la misura della rilevanza e della pericolosità della minaccia dentro e i fuori i confini russi.

Abu Omar al-Shishani (Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili). Proveniente dalla Valle del Pankisi, tra Georgia e Cecenia, è stato Ministro della Guerra dello Stato Islamico fino alla sua morte in Iraq nel 2016

​Come sostenuto dall’arabista russo Andrej Čuprygin (link – Intevista FAN) e dal professor Massimiliano Trentin (link – Intervista AnsaMed), la caduta delle roccaforti mediorientali dell’ISIS non segnerà la sua scomparsa definitiva; la guerra al terrorismo proseguirà e si sposterà verso uno stadio qualitativo completamente diverso, dovuto alla dispersione dei combattenti e alle loro intenzioni di rimpatriare. A maggior ragione, l’allerta del Cremlino resta altissima e le sfide da superare diventano sempre più ostiche. Lo storico ceceno Majrbek Vačagaev riassume efficacemente questa complessità:

La diffusione della sua influenza [dello Stato Islamico] nel Dagestan e nel resto del Caucaso settentrionale è dimostrata non solo nella trasformazione dell’Emirato del Caucaso in IS, ma anche nella sua capacità di influenzare le convinzioni di alcune fasce della popolazione, in particolare le giovani generazioni […].
I giovani si stanno radicalizzando e le loro opinioni sono incompatibili con quelle delle autorità.
I più ricettivi all’ideologia dello Stato Islamico sono studenti e neodiplomati
presso istituti di istruzione superiore.

Majrbek Vačagaev in Revived Hotbeds in the Caucasus: Pankisi Valley and Dagestan

Tags: FSBRussiaSicurezzaterrorismo
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Mattia Baldoni

Mattia Baldoni

Caporedattore di Osservatorio Russia. Laureato magistrale in Sviluppo locale e globale, ha partecipato a progetti di cooperazione internazionale in Georgia, Grecia, Azerbaigian e Bulgaria. Le principali tematiche di cui si occupa sono la politica estera ed energetica russa e del mondo post-sovietico. Collabora inoltre con Il Caffè Geopolitico e altre testate. Leggi i suoi articoli anche su: Il Caffè Geopolitico 

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