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Home Politica estera russa

Nesting Orthodoxism: il mosaico balcanico tra solidarietà e discordia

di Claudia Ditel
18 Giugno 2019
in Politica estera russa, Politica interna e società russa, Russia, Ucraina e Moldova
Tempo di lettura: 7 mins read

Lo stare decisis del Patriarca Bartolomeo

La concessione dell’autocefalia alla Chiesa Ortodossa ucraina lo scorso dicembre ha rappresentato una delle ultime vittorie portate a casa dall’ex Presidente Poroshenko prima di passare le redini al successore Zelensky. Mentre sia gli Stati Uniti che tutti gli Stati europei occidentali hanno espresso il loro compiacimento in merito al nuovo status della Chiesa Ucraina, dai Balcani sono giunte reazioni contrastanti, tra l’entusiasmo di Macedonia e Montenegro e la dura opposizione della Serbia. Nei Balcani la partita si gioca tra la Chiesa Serba, storica alleata di Mosca, e le autonomie religiose in Macedonia e Montenegro, con la prima che cerca di limitare le aspirazioni centrifughe delle altre due comunità ortodosse. Per questo motivo la Serbia si è opposta duramente alla posizione del Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. Già prima della concessione definitiva dell’autocefalia alla Chiesa Ucraina, nello scorso agosto il Patriarca della Chiesa serba, Irinej, aveva esortato, tramite una lettera, il Patriarca Ecumenico a non intervenire nelle questioni ecclesiastiche in merito a Kiev. Nella stessa occasione, aveva anche paragonato la Chiesa di Montenegro, auto dichiaratasi indipendente già tempo prima, ad una setta registrata come semplice ONG.

La paura è che la decisione di Bartolomeo possa costituirsi come precedente vincolante – come lo stare decisis nel sistema di Common Law – e che possa avallare future secessioni nel mondo ortodosso. È questa possibilità che ha fatto emergere la posizione estremamente contraria della Serbia.

Il Patriarca serbo Irinej

Le forze centrifughe nella comunità ortodossa Balcanica

Per l’appunto, è da decenni che vanno avanti le negoziazioni tra Chiesa serba e Chiesa Macedone, in merito alla concessione dell’indipendenza amministrativa a quest’ultima. La maggior parte dei macedoni, tutt’oggi, di fatto fanno capo all’arcivescovato di Ohrid, la cittadina dove sorge il monastero di San Naum, sull’omonimo lago, di cui le acque sono condivise con l’Albania. Il monastero, costruito nel 905 sotto l’Impero Bulgaro, è stato per decenni il faro della cristianità non solo della Macedonia, ma di tutti i Balcani. Secondo gran parte dei Macedoni ortodossi, la portata spirituale e storica del piccolo ma suggestivo luogo di culto ne legittima la centralità rispetto a Belgrado. Il sentimento di autonomia ha radici profonde, che risalgono a prima della dissoluzione. Nel 1967, la Chiesa Macedone ha dichiarato la secessione unilaterale dalla Chiesa Serba. Nel 2002, gli accordi di Nis, basati sul principio dell’unità della Chiesa Ortodossa, hanno concesso solo una maggiore autonomia alla Chiesa Macedone, ma non l’indipendenza. La comunità ortodossa macedone tutt’ora non si rassegna e ha sempre cercato di rinforzare i legami con il Patriarca di Costantinopoli.

Il Montenegro è il secondo punto dolente. Il 30% dei Montenegrini Ortodossi aderisce alla Chiesa Montenegrina, mentre il restante riconosce l’autorità serba. I sostenitori dell’autocefalia sostengono che la Chiesa del Montenegro esista già da prima dell’unificazione con la Serbia nel 1918. Con tali argomentazioni, l’auto-dichiarazione dell’indipendenza dalla Chiesa di Belgrado è avvenuta nel 1993. La politica estera della Chiesa Ortodossa serba fa eco a quella del Patriarcato di Kirill. Entrambe abbracciano esplicitamente la linea politica dei rispettivi Stati ed entrambe si ritrovano ad affrontare la pesante eredità – non solo politica – della dissoluzione di una Federazione. Questa emerge in un conflitto ideologico tra il sentimento nazionalista e l’appartenenza alla fede ortodossa di un popolo che da un giorno all’altro si è svegliato in un nuovo ordine politico. Nuovi confini che hanno dovuto convivere con i vecchi della comunità ortodossa. Inevitabile dunque che i nazionalismi, che hanno determinato la spaccatura politica, primo o poi andassero a contagiare anche la sfera religiosa e determinare delle fratture ulteriori tra le varie chiese facenti capo a Belgrado, considerando tra le altre cose quanto il fattore religioso sia determinante nella creazione dell’immaginario collettivo di una realtà che decide di definirsi popolo. 

Il Patriarca russo Kirill

​La Chiesa e il Cremlino: un binomio indissolubile

Come si inserisce la Chiesa ortodossa russa in questo mosaico di nazionalismi? C’è da precisare che la politica estera della Russia sotto Putin ha tra i suoi obiettivi principali quello di patrocinare la comunità dei russi all’estero. Con questo fine, il Cremlino si serve della Chiesa Ortodossa russa come principale strumento di soft power. Il ruolo dell’istituzione ecclesiastica è tornato di rilievo con l’attuale Presidente, con la dottrina Putin di proteggere la comunità ortodossa oltre i confini di un impero che da secoli non esiste più. In questo senso, si può dire che c’è un ritorno all’epoca zarista, in cui le due istituzioni si spalleggiavano a vicenda nella politica estera.

Già dall’epoca imperiale, i Balcani hanno rappresentato un luogo di interesse strategico, nel quale limitare sì l’influenza della Chiesa cattolica, ma soprattutto l’inglobamento delle popolazioni nell’umma dell’Impero Ottomano. Per questo motivo – tra altri, come gli interessi legati al controllo di un importante crocevia sul mare – la politica estera della Chiesa russa è sempre stata piuttosto attiva e attenta alle questioni balcaniche, pur non senza contraddizioni. È stato così che nel 1878 l’Impero russo è intervenuto in Bulgaria – che allora comprendeva anche la Macedonia e la Rumelia Orientale – in sostegno delle rivolte dei popoli slavi sotto il controllo Ottomano. In quel caso l’indipendenza della Bulgaria anche da un punto di vista religioso era funzionale a scongiurare l’influenza ottomana.

La Russia ha appoggiato anche altre nuove realtà ortodosse derivanti da movimenti nazionalisti con l’obiettivo di strapparli alla morsa ottomana. La Chiesa russa ha supportato i movimenti di liberazione nazionale di Filiki Eteria e VMRO, rispettivamente di Grecia e Macedonia, i cui inscindibili legami con la Chiese nazionali erano innegabili. Quando si tratta dell’indipendenza della Macedonia e del Montenegro oggi, tuttavia, Mosca non ha adottato lo stesso approccio. Ad oggi infatti gli equilibri geopolitici sono cambiati e sono divenuti più complessi. Il confronto non si gioca più su solo un asse Cristianità – Islam (la competizione nei Balcani tra istituzioni europee e la crescente influenza turca è più che mai evidente) ma all’interno della stessa sfera cristiana, in un antagonismo crescente tra il Patriarca russo Kirill e il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli.

Il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I

In aggiunta, la Serbia costituisce un alleato strategico irrinunciabile per Mosca, in quanto quinta colonna per la diffusione del soft power nei Balcani. Pertanto, di questa Mosca difenderà sempre la supremazia a discapito delle autonomie religiose. Dall’analisi sul recente dibattito che interessa la comunità ortodossa dell’Europa orientale, si possono riconfermare alcuni sviluppi. Primo fra tutti, il binomio politica estera del Cremlino e quella della Chiesa ortodossa russa. La seconda strumento fondamentale di soft power sia all’interno – revival dei valori tradizionali religiosi – sia all’esterno come legittimazione alla dottrina Putin. Il primo funzionale alla sopravvivenza degli interessi che ruotano intorno all’istituzione ecclesiastica, che con Putin ha ritrovato il potere perduto con la soppressione durante gli anni dell’ateismo di Stato.

In secondo luogo, e come conseguenza del primo, l’alleanza tra la Chiesa russa e quella serba, di cui ultima testimonianza è il pellegrinaggio del Vescovo di Nis presso luoghi di culto nel territorio russo, tra cui il Monastero di Danilov a Mosca. Lo scorso 10 giugno, il vescovo è stato ricevuto dal Metropolita Hilarion con il quale si è discusso un rafforzamento della cooperazione religiosa serbo – russa. 

Il terzo sviluppo riguarda le spinte religiose secessioniste nell’area Balcanica, retaggio dopo quasi 30 anni dalla dissoluzione politica, che confermano come la narrativa nazionalista nelle Repubbliche dell’ex Jugoslavia continua a crescere tutt’oggi. L’episodio dell’Ucraina ha sicuramente contribuito a dare nuova linfa vitale ai movimenti indipendentisti religiosi e la decisione di Bartolomeo ha forse aperto le porte verso un processo irreversibile.
Tags: BalcaniChiesa ortodossaMacedoniaMontenegroortodossiaRussiaSerbiaUcraina
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Claudia Ditel

Claudia Ditel

Claudia nasce a Sassari nel 1994 e nel 2013 si trasferisce a Napoli per studiare Relazioni Internazionali e russo all’Orientale, dove si laurea con una tesi sulla prospettiva della Russia rispetto alla creazione di un esercito europeo. La passione per gli studi sulla Russia la porta a intraprendere un progetto di volontariato nella città di Yaroslavl nell’estate del 2016 e a continuare il percorso di studi all’Università Alma Mater di Bologna, Campus di Forlì, dove attualmente è iscritta al primo anno del MIREES (Master of Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe). Con entusiasmo ho deciso di contribuire a far crescere il progetto Russia 2018, che considero un’iniziativa credibile e originale, perché sulla Russia c’è sempre tanto da dire ma non è mai abbastanza.

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