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Home Ucraina e Moldova

Il Donbass degli italiani

di Gennaro Mansi
27 Luglio 2019
in Ucraina e Moldova
Tempo di lettura: 7 mins read
Entrata della scuola 9 a Slov”jans’k (Copyright: UNICEF Ukraine/2015/P.Zmey)

Un deejay italo-ucraino di Rimini ed un fotografo di Pavia si incontrano nell’est dell’Ucraina: non è l’inizio di una barzelletta, ma la dinamica che ha portato alla morte del fotoreporter Andy Rocchelli ed alla condanna di Vitalii Markiv a 24 anni di carcere. A Pavia è andato in scena il primo atto del processo coinvolgente due “italiani del Donbass” – con il Governo ucraino spettatore più che interessato.

​Pavia ed Andreevka – sobborgo alla periferia di Slov”jans’k, nell’Oblast’ ucraino di Donec’k – sono divise da una distanza in linea d’aria di poco meno di 2.200 km; all’incirca la stessa lontananza che, specialmente nel periodo estivo, sono in molti ucraini (e russi) a colmare per raggiungere le acque della Riviera adriatica, così da godersi la rinomata dinamicità delle località balneari romagnole. Si tratta di un filo rosso geografico accomunante i protagonisti della tragica vicenda di Andrea “Andy” Rocchelli: pavese, laurea in design della comunicazione a Milano, professione fotoreporter di guerra. Fu proprio quest’ultima a spingere il 31enne lombardo a dirigersi nel 2014 verso il Donbass – fetta geograficamente e geopoliticamente consistente dell’Ucraina orientale, che da un lustro è il teatro di una guerra fratricida di truppe regolari di Kiev (con l’ausilio di gruppi nazionalisti) contro formazioni para-militari secessioniste delle auto-proclamate repubbliche di Donec’k e Lugansk (appoggiate in maniera più o meno diretta da Mosca).

Qualche mese prima, a novembre del 2013, aveva compiuto lo stesso viaggio dall’Italia all’Ucraina un altro ragazzo: Vitalii Markiv – all’epoca dei fatti appena 24enne. Figlio di madre ucraina, Markiv si guadagnava da vivere lavorando come deejay e personal trainer a Rimini, facendo la spola tra Emilia-Romagna e Marche. Il canto fatale delle sirene rivoluzionarie, tuttavia, spinse l’italo-ucraino a volare verso Kiev per unirsi ai manifestanti di Piazza Maidan nelle prime fasi del movimento, che avrebbe portato alla destituzione del presidente Viktor Janukovyč (accusato di russofilia) ed all’insediamento di un nuovo Governo nazionalista, aprendo un fronte di guerra politico-diplomatica con la Russia.

A dire il vero, di guerra nel frattempo ne iniziò anche una vera e propria: dopo la repentina annessione russa della Crimea (marzo 2014), l’epicentro dello scontro si spostò da sud ad ovest, in quelle regioni ucraine orientali storicamente ed etnicamente interconnesse con la vicina Russia. Nel mezzo della battaglia – e solo qualche settimana dopo lo “schiaffo” crimeano – le autorità ucraine dovettero dunque assistere alla formazione di due proto-Stati – le già menzionate repubbliche popolari di Donec’k e Lugansk (mai formalmente riconosciute da Kiev, così come la transizione della Crimea). I fucili ed i mortai, da allora, in quella parte d’Europa non hanno più taciuto – e lo sanno bene le 298 vittime del volo MH17, le cui vite vennero spezzate da un missile terra-aria asseritamente lanciato dai filo-russi – che hanno però sempre smentito ed accusato a loro volta i rivali.

Rovine di un palazzo a Slov”jans’k dopo l’assedio del 2014 (Copyright: Viktoria Pryshutova)

Pochi giorni dopo il suo arrivo sul suolo ucraino, Markiv si arruolò nelle file della Guardia nazionale ucraina e fu nominato vice comandante di plotone nella zona di Slov”jans’k – dove tra l’aprile ed il luglio 2014 andò in scena l’assedio (riuscito) delle truppe di Kiev contro i combattenti separatisti di Donec’k. Fu proprio in occasione dell’assedio che il fotografo italiano Andy Rocchelli – insieme al collega francese William Roguelon ed all’interprete russo Andrej Mironov – decise di recarsi in quella porzione est-ucraina interessata dagli scontri. Fino al 24 maggio, i destini di Rocchelli e Markiv non si erano mai sfiorati l’un con l’altro. Il 24 maggio, però, lo fecero – ed in maniera nefasta per entrambi.

Quella che segue è la ricostruzione fatta dal francese, unico superstite: uscito dal suo albergo, Rocchelli ed i suoi due compagni di viaggio chiamarono un taxi per essere trasportati a pochi metri dall’epicentro dell’assedio a Slov”jans’k. Il fine era quello di documentare le laceranti sofferenze patite da chi si trovava tra l’incudine ed il martello, ovverosia la popolazione est-ucraina allo stremo. Giunti sul posto, Rocchelli e Roguelon si fermarono per scattare la foto di un treno, usato dagli ucraini per impedire il passaggio di carri armati nemici, quando vennero esortati da un uomo in abiti civili ad andare via subito. Nemmeno il tempo di finire la frase che iniziò a risuonare nell’aria il trambusto dei colpi di mitragliatrice, probabilmente provenienti dalla collina Karachun, ove erano appostate le milizie ucraine. Dopo essersi rifugiati fortunosamente in un fossato vicino, Rocchelli, Roguelon e Mironov cercarono disperatamente di mettersi in salvo, ma vennero raggiunti da colpi di mortaio – uno dei quali spezzò fatalmente le vite del fotoreporter italiano e dell’interprete.

La versione di Roguelon è quella consegnata ai giudici della Corte d’assise di Pavia, all’interno del processo che ha visto come imputato proprio Vitalii Markiv. L’italo-ucraino è stato accusato dal PM Andrea Zanoncelli di essere il principale responsabile dell’omicidio di Rocchelli, chiedendo una pena di 17 anni di reclusione. Dopo delle fasi istruttorie e dibattimentali particolarmente intense, la sentenza della corte presieduta da Annamaria Gatto è andata persino oltre le richieste della pubblica accusa: 24 anni di carcere per Markiv – cui non sono state concesse le attenuanti generiche (tendenzialmente riconoscibili agli incensurati) – oltre ad una cospicua condanna al risarcimento dei danni.

Foto del combattente Vitalii Markiv (Copyright: Olena Sokolovska)

​Sono due le prove principali del processo: da una parte, la summenzionata testimonianza del francese Roguelon; dall’altra, la telefonata (successiva al 24 maggio) di un giornalista italiano a Markiv, in cui quest’ultimo sconsigliò caldamente di recarsi sul luogo (“qui si spara, non venite“).

Sono diversi i punti d’ombra contestati dalla difesa – alcuni dei quali verranno verosimilmente riproposti in sede di appello. Uno di questi riguarda il ruolo dei separatisti filo-russi, che co-presidiavano la zona; un altro è l’inspiegabile mancanza di Evgeny Koshman, il taxista che accompagnò i tre sul luogo della sparatoria (chiamato a testimoniare dalla difesa di Markiv, ma non pervenuto); altro ancora è il fatto che fosse conosciuta ai più la pericolosità del luogo. L’impianto difensivo sposato dai legali dell’imputato si è soffermato in particolare su alcuni elementi: in primis, l’impossibilità che Markiv avesse potuto sparare al fotoreporter dalla posizione collinare in cui si trovava – la cui distanza non gli avrebbe consentito una vista ottimale; in secondo luogo, si è asserito che il lancio del mortaio mortifero non potesse essere opera di Markiv, dato che armi del genere non sarebbero state in dotazione ai combattenti ucraini. Difesa rilanciata anche dal Ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov, che ha voluto dimostrare la vicinanza del Governo di Kiev all'”eroe di guerra” Markiv presenziando fisicamente all’udienza del 17 maggio scorso.

L’accusa, tuttavia, ha controbattuto che i mortai fossero in ogni caso reperibili, complice la presenza nelle vicinanze dell’esercito ucraino, adducendo altresì la scoperta di una foto ritraente un presidio di combattenti ucraini nella stessa zona dalla quale sarebbero partiti i colpi in direzione del fotoreporter italiano.

Una cosa, in ogni caso, è certa: l’attenzione che il caso ha ricevuto in Ucraina a causa della coloritura politica. Oltre alla presenza di Avakov all’udienza, va menzionato anche il disappunto di una folla di cittadini ucraini presenti al momento del verdetto – che hanno urlato “Ucraina libera!” su invito di Markiv. Trattasi peraltro di una vicenda ancora lungi dall’essere conclusa: oltre al probabile appello, la Corte d’Assise ha trasmesso alla Procura di Roma la richiesta di aprire un’indagine su un altro ufficiale della Guardia nazionale dell’Ucraina – ritenuto anch’egli legato all’omicidio di Rocchelli.

Se è proprio la verità a morire per prima in uno scenario bellico, c’è da credere che sarà un’impresa non da poco per i giudici pavesi quella di ricostruire la verità – giuridica – di quel pomeriggio di maggio.

Abitazioni rase al suolo durante l’assedio di Slov”jans’k (Copyright: UN Ukraine)

Tags: DonbassMarkivRocchelliUcraina
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Gennaro Mansi

Gennaro Mansi

Coordinatore del desk Russia. Gennaro è un analista di diritto, geopolitica ed economia dell’Eurasia. Si occupa in particolare della regione post-sovietica europea e delle relazioni tra Russia e Occidente. Leggi i suoi articoli anche su La Voce di New York e Filodiritto.

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