A quasi due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, ci si trova di fronte ad uno scenario politico internazionale profondamente mutato. Ciò è ancor più vero per quanto riguarda il Vecchio Continente, ed i Paesi dell’Unione Europea nello specifico. Il ritorno di una guerra nel cuore dell’Europa e di un grande nemico comune hanno determinato dei cambiamenti di prospettiva fino a poco prima impensabili.
Ci si è, infatti, trovati davanti ad un’Europa quanto mai unita e determinata a costituire un fronte comune per contrastare la Russia; la solidarietà verso il popolo ucraino è stata sorprendente. La NATO, tacciata di morte cerebrale dal Presidente Macron solo qualche tempo prima, ha guadagnato nuovo credito e vitalità. I Paesi dell’ex Patto di Varsavia e i Baltici sono stati i primi e più convinti sostenitori della necessità di fornire tutto il supporto possibile a Kyiv: umanitario, finanziario, militare. Tra questi, uno dei Paesi protagonisti è sicuramente la Polonia, grande alleata dell’Ucraina e sempre in prima fila nei tentativi di Bruxelles di inviare armi, munizioni e aiuti finanziari. Varsavia, infatti, è stata finora tra i più strenui sostenitori europei dell’Ucraina, nonché uno dei suoi principali fornitori di armi. Oltre a ciò, gran parte delle armi che gli alleati inviano a Kyiv per sostenerne lo sforzo bellico passano per il territorio polacco per poi attraversare il confine ucraino. La Polonia ha accolto e ospita tuttora anche un milione di rifugiati ucraini, che beneficiano di aiuti pubblici. Ebbene, all’avvicinarsi del secondo anniversario dallo scoppio della guerra si può affermare che le relazioni tra Varsavia e Kyiv abbiano incontrato alcune difficoltà e che siano, ad oggi, degne di attenzione per gli sviluppi futuri che potrebbero derivarne.
Poco meno di due anni fa, la popolazione polacca si mobilitava per fornire primo soccorso ed aiuti di emergenza ad un fiume di profughi ucraini in fuga dall’invasione russa, in uno slancio esemplare di solidarietà. Ad oggi, alla stessa frontiera dove i volontari accorrevano con sacchi di cibo, si trovano chilometri di coda ed un’atmosfera molto diversa. I camionisti e gli agricoltori polacchi in protesta contro la concorrenza sleale ucraina bloccano i varchi, impediscono a migliaia di austisti ucraini di tornare in patria e sbarrano l’ingresso di nuovi veicoli. Il braccio di ferro tra i lavoratori polacchi ed il governo di Varsavia dura ormai da diversi mesi, ma dall’inizio del nuovo anno è il nuovo governo del liberale Donald Tusk che deve occuparsene.
L’estate 2022 ha segnato una prima incrinatura nelle relazioni, prima molto solide, tra i due paesi. Il crollo dei prezzi in Polonia dovuto all’importazione di prodotti cerealicoli ucraini ha costituito la prima fonte di malcontento. La tensione ha, infatti, cominciato a crescere per ragioni non direttamente legate al conflitto, quanto alle sue ricadute. In particolare, alla decisione di Polonia, Slovacchia e Ungheria di proclamare un embargo sulle importazioni di grano ucraino, in seguito alla decisione dell’Unione Europea di sospendere le restrizioni imposte finora per proteggere gli agricoltori locali. A ciò si è sommata la decisione di Bruxelles di autorizzare la libera circolazione di camion ucraini, sempre al fine di sostenere l’economia del Paese devastata dalla guerra e il cui PIL è sceso del 29% nel primo anno dopo l’invasione. Proprio alla luce della solidità del rapporto tra i due Paesi, le dinamiche dello scontro sono risultate ancora più sorprendenti. Particolarmente pesanti sono state anche alcune dichiarazioni dell’ex primo ministro Morawiecki e del Presidente Duda sull’intenzione di sospendere l’invio di armi e sugli effetti della competizione sleale dei cereali ucraini nel mercato UE.
Le proteste hanno infiammato il confine tra Ucraina e Polonia fino allo scorso 7 gennaio, quando il nuovo governo di Donald Tusk è riuscito a firmare un accordo con gli agricoltori polacchi: il ministro polacco Czeslaw Siekierski ha firmato con un gruppo di agricoltori chiamato “Villaggio Ingannato” e con la leader della regione di Podkarpackie, al confine con l’Ucraina. Gli agricoltori hanno accettato di sospendere le proteste e liberare il varco che collega la città polacca di Medyka e quella ucraina di Shehyni, mentre il governo ha in cambio avallato l’istituzione di un sussidio per la produzione di mais ed una tassa agricola più bassa. Il valico di frontiera, bloccato dagli agricoltori, è stato progressivamente aperto fra fine dicembre e inizio gennaio dopo l’accordo: secondo alcuni analisti ucraini sul lato ucraino del confine c’erano quasi quattro mila camion in attesa. Gli altri tre valichi, bloccati dai camionisti, erano rimasti chiusi. Lo scorso 16 gennaio è poi arrivata la notizia di un accordo tra il governo ed i camionisti per la sospensione della loro protesta. Secondo l’accordo, i camion ucraini che stavano aspettando a questi tre valichi avrebbero potuto entrare in Polonia a partire da mezzogiorno del 17 gennaio fino al 1° marzo, quando il Comitato per la protezione dei trasportatori, che ha organizzato la protesta, deciderà se fermarla definitivamente o farla ripartire. Secondo il rappresentante del Comitato, tutto dipenderà dai colloqui che avverranno in questo frangente fra il governo e gli organizzatori della protesta.
Gli accordi presi dal nuovo governo di Donald Tusk, ex Presidente della Commissione Europea, sembrano dunque aprire una nuova fase dei rapporti tra Varsavia e Kyiv, o perlomeno un tentativo di riprendere la vecchia direzione. La Polonia è infatti reduce di una tornata elettorale rivoluzionaria, dove il partito populista ed euroscettico Diritto e Giustizia (PiS) di Jarosław Kazcyński ha perso la maggioranza in parlamento. “Sono finiti i tempi bui”, ha detto Tusk, 66 anni, davanti alla folla di sostenitori esultanti a Varsavia, confermando la fine della parabola di potere del Pis, durata otto anni. L’opposizione aveva messo in guardia gli elettori che questa era la loro “ultima possibilità” per salvare la democrazia. I polacchi hanno risposto in massa: secondo la commissione elettorale l’affluenza alle urne è stata pari al 74,38%, la più alta dalla fine del comunismo nel 1989.
L’insediamento del nuovo governo fa dunque ben sperare, ma si tratta comunque di un equilibrio difficile da ripristinare in toto, mentre in Europa si parla sempre più di “Ukraine Fatigue” e mentre l’attenzione mediatica si sposta verso il Medio Oriente. Inoltre, in un’ottica di lungo periodo è fondamentale riflettere sulla decisione dell’Unione europea di aprire il negoziato per l’adesione dell’Ucraina. Si parla infatti di un paese di 44 milioni di abitanti, con un settore agricolo rilevante e un tenore di vita inferiore alla media europea. Se per ora le proteste possono essere sospese tramite l’adozione di sussidi o la promessa di temporaneità delle misure più impopolari in nome dello stato di emergenza dell’economia di un Paese in guerra, la questione si riproporrà in maniera più seria e su più larga scala, andando a toccare i punti più dolenti del processo di costruzione di europea, tra cui la Politica Agricola Comune e i fondi di coesione.