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Home Paesi Baltici

L’incubo demografico dei Paesi Baltici

di Marco Limburgo
17 Settembre 2019
in Paesi Baltici, Società e Cultura
Tempo di lettura: 6 mins read
L’incubo demografico dei Paesi Baltici

Un vento gelido l’Europa interamente: l’inverno demografico. Con i tassi di natalità in costante calo, l’aumento percentuale della fascia di popolazione anziana e il mancato ricambio generazionale, il continente si trova ad affrontare un trauma che, paradossalmente, ad oggi non è tra le priorità delle amministrazioni europee. Tralasciando i proclami xenofobi della destra identitaria sulla sparizione dei popoli europei e la sostituzione etnica, è un dato di fatto che l’emigrazione costituisce ad oggi l’unica possibilità (economica, sociale, culturale) per mantenere in vita il “sistema Paese” e la storia abbonda di esempi in cui un immigrazione canalizzata e controllata ha rappresentato per il Paese ospite una risorsa (vedasi il continente americano). Seppur con differente entità e diverse contromisure, la crisi demografica costituisce una costante all’interno del continente, coinvolgendo la Russia e l’Asia in via di sviluppo (Iran, Cina, Giappone, Sud Corea) pena lo scarso interesse della amministrazione verso efficaci politiche familiari, il disinteresse o il costo elevato dell’allevare dei figli o una certa mentalità cinica, che non comprende appieno i potenziali danni provocati dal mancato ricambio generazionale. L’Italia rappresenta un esempio calzante, con un tasso di fertilità ancorato all’1.35 (molto al di sotto al tasso di sostituzione del 2.02), una solida emigrazione giovanile e inadeguate politiche di incentivi alla maternità, che faranno crollare la popolazione a 40 milioni nel 2100 o ancora più in basso in caso di politiche di chiusura verso l’immigrazione.

Oltre al Bel Paese, è sulle rive del Baltico che la flessione demografica morde maggiormente con Lettonia, Lituania ed Estonia alle prese con un vero e proprio disastro ben più grave della paventata (e certamente esagerata) invasione russa. La Lettonia offre un quadro emblematico, con un tasso di crescita dello -0,95% e l’aspettativa di perdere oltre un milione di cittadini entro 80 anni. Un calo di ben 18,2 % secondo le statistiche delle Nazioni Unite. La Lettonia è in ottima compagnia affiancata com’è dalle vicine Baltiche, dal tracollo demografico europeo e Sud caucasico. Un vero e proprio incubo che mal si adatta alle speranze di sviluppo futuro del Paese condannando lo Stato a dover destinare una sempre maggiore fetta del PIL ai servizi di assistenza per gli anziani e alla sanità. Sistema sanitario già in difficoltà, in quanto negli ultimi sei anni il numero di medici che lavorano nel paese e diminuito di circa il 6 % con una tendenza che continua a crescere. L’emergenza ha raggiunto livelli allarmanti, con il governo locale impegnato in forti campagne di sensibilizzazione, proposte di riforme e apertura a un immigrazione selettiva. La diaspora dei medici lettoni si collega pienamente alla gravosa crisi demografica che la repubblica baltica affronta fin dall’indipendenza. Non solo il tasso di fertilità ma la perdita di popolazione è frutto dell’apparentemente inevitabile flusso emigratorio che sta spingendo i baltici l’Europa alla ricerca di opportunità, salari e condizioni di vita migliori.

Fonte: Real World Economics Review Blog
L’ingresso della nazione nell’Unione Europea ha sicuramente apportato dei vantaggi alle repubbliche, permettendogli di uscire da una grave stagnazione a cui l’economia dirigista sovietica le aveva destinate mentre le politiche, i fondi, la liberalizzazione del commercio e dei capitali hanno sicuramente incentivato lo sviluppo delle cosiddette “tigri baltiche”, ma allo stesso tempo l’apertura delle frontiere, l’ottenimento cittadinanza europea ha permesso a molti giovani, professionisti, laureati o no di trasferirsi in altre realtà con salari maggiori. A influire sull’alto tasso di emigrazione anche il continuo stato di tensione con la vicina Federazione Russa. Il governo lettone è impegnato, infatti, in una competizione asprissima con l’ex madrepatria Russia che ha incentivato un clima di russofobia e paranoia diametralmente diffuso. La progressiva militarizzazione, la chiusura del confine Est, l’aumento dei contingenti europei stanziati in loco e l’emarginazione della minoranza russofona (oltre il 20% della popolazione) stanno contribuendo inoltre a creare un clima di incertezza, che si ripercuote in investimenti mancanti, sfiducia in un futuro lavorativo in loco e la disillusione giovanile che, in parte, spiega perché la maggior parte degli emigranti appartenga alla fascia giovanile (circa l’80% degli emigranti recenti ha meno di 35 anni).

Una crisi che si ripercuote inevitabilmente sull’economia lettone, che si aspetta ulteriori contraccolpi nel calo del PIL, nel ritardo accumulato nell’innovazione e nella digitalizzazione e con la perdita costante di utile capitale umano. Un danno non solo circoscritto all’interno dei confini della piccola repubblica, ma che tracima all’interno dell’Unione, come ha ben illustrato l’attuale Ministro della diaspora Karlis Elferts, impegnato in una titanica campagna tesa a sensibilizzare l’opinione pubblica nazione e europea sul pericolo “inverno demografico“, evocando la necessità che la Lettonia non venga lasciata sola ad affrontare questo problema, in quanto: «se hai dei lavoratori molto istruiti che lasciano il paese per cercare lavoro poco qualificato in un altro paese, i danni li subisce l’economia dell’Unione», che infatti è costretta a intervenire ogni volta in cui un paese si trova in difficoltà. ​
Il primo ministro lettone, Arturs Krišjānis Kariņš

Non esistono soluzioni facili, ma i tre Paesi (e l’Europa intera con loro) devono prendere immediatamente provvedimenti per tamponare l’emorragia migratoria e il costante calo demografico. In primis, le amministrazioni locali dovranno mettere in bilancio un programma che tamponi la “fuga di cervelli“, offrendo ai professionisti (giovani o meno) migliori condizioni di vita, stipendi più alti, incentivi, attrattiva professionale oltre che un livello di vita consono agli altri paesi dell’Unione. Insieme a ciò, i tre paesi dovranno ampliare i contatti con i cittadini lituani all’estero offrendo incentivi e riconoscendone le capacità imprenditoriali e culturali. Il neo insediato governo conservatore lettone, guidato da Arturs Krišjānis Kariņš ha più volte dichiarato in campagna elettorale l’importanza della questione e la necessità di creare una task force intereuropea che porti a politiche maggiormente oculate in grado di sovvertire il triste, e all’apparenza ineluttabile trend; politiche mirate verso un maggior sostegno ai nuclei famigliari, sussidi alle giovani coppie che si affrancano dal nido famigliare, welfare mirato che aiuti a sopportare il peso sempre più gravoso delle spese sanitarie, d’istruzione e tutto ciò che comporta crescere un figlio.

Un forte impegno dello Stato che dovrà coincidere con una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica, come il caso francese o tedesco (con l’aumento anche se flebile dei tassi di fertilità) ha magistralmente esposto. In ultimo, i governi in questione dovranno prendere atto che nel breve periodo, anche in caso di massicci investimenti per ribaltare la catastrofe demografica, non potranno assistere a risultati tangibili e ad oggi appare sempre più la necessità che i Baltici si aprano a un immigrazione selettiva, controllata e ottimamente canalizzata che permetterebbe al “sistema Paese” di tirare il fiato ma, conseguentemente, non sono da sottovalutare le conseguenze politiche, sociali e culturali che un aumento dell’immigrazione apporterebbe a Paesi già in profonda crisi d’identità, con le destre populiste in costante pressione.

Tags: BalticoDemografiaEstoniaLettoniaLituaniamigrazioniUE
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Marco Limburgo

Marco Limburgo

Da sempre appassionato di storia, letteratura e politica internazionale si laurea a Bologna in Storia Contemporanea e decide, successivamente, di trasferirsi a Forlì per studiare Scienze Internazionali e Diplomatiche, dove si laurea nel 2020. Socio fondatore di Osservatorio Russia, contribuisce al progetto con analisi inerenti all’Asia Centrale e alle relazioni tra Medio Oriente e Russia, nonché curando la rubrica di approfondimento storico Smolensk, di cui è coordinatore.

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