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Home Politica e Istituzioni

L’Islam e la realpolitik russa in Medio Oriente

di Alessandro Balduzzi
20 Ottobre 2019
in Politica e Istituzioni, Politica estera russa, Russia, Storia e Religione
Tempo di lettura: 4 mins read
Yousef Al-Othaimeen, Segretario generale dell’Organizzazione della cooperazione islamica, con il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. (Foto – ArabNews/SPA)

Benché gli interessi geopolitici ed economici siano pragmaticamente prioritari nella politica russa in Medio Oriente, anche la carta dell’Islam trova una sua collocazione accanto alla pura Realpolitik. La presenza in numeri significativi di popolazione musulmana sul proprio territorio ha reso l’Unione Sovietica prima, e la Federazione russa poi, interessati alle sorti dell’Islam sia in chiave domestica che al di là dei propri confini, specialmente nel Medio Oriente culla della religione coranica.

In epoca sovietica, la politica del Cremlino nei confronti dell’Islam ha assunto toni ambigui. Da una parte, la repressione generalizzata del fenomeno religioso a casa propria a suon di ateismo di Stato. Dall’altra, la promozione dell’Unione all’estero come entità multinazionale amica dell’Islam; un’immagine che – unita a un’agenda anti-imperialista – guadagnò a Mosca solide amicizie con Libia, Egitto, Siria, Iraq e altri paesi ancora. I limiti di questa lettura vennero al pettine con la campagna sovietica in Afghanistan, quando il supporto ai comunisti afghani ebbe la meglio su quello all’Islam, pur talebano.

Se gli anni Novanta rappresentarono un decennio di ripiegamento sulle crisi interne conseguenti al collasso dell’Urss, l’ascesa al potere di Vladimir Putin corrisponde a un graduale ritorno di Mosca sul proscenio mondiale, ivi incluso l’orbita arabo-islamica. Primo atto significativo in direzione della riabilitazione del ruolo di amico dell’Islam da parte della Russia è stato l’ottenimento dello status di osservatore in seno all’Organizzazione della conferenza islamica (OIC) nel 2005. Un riconoscimento ottenuto grazie ai buoni uffici sauditi. Proprio tale elemento è sintomatico del multipolarismo diplomatico russo nella penetrazione del blocco musulmano. Per togliersi di dosso la nomea di potenza islamofoba, causata dalla spedizione afghana e dai conflitti ceceni, nonché di membro a tutti gli effetti dell’asse sciita alla luce dell’alleanza con Teheran sul fronte siriano, il Cremlino si erge a nume tutelare di un Islam moderato che dall’interno dei propri confini si propone di diffondere in tutta la umma musulmana. Un quadro di moderatismo in cui è arduo riconoscere il wahhabismo di regime in vigore a Riyad e dintorni. La commistione tra la promozione di un Islam moderato e una non ingerenza dai toni intrinsecamente conservatori spinge Mosca a perseguitare gli estremismi non solo nel cordone sanitario dell'”Islamistan” fu sovietico (Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan), ma anche sulla scena mediorientale.

Vladimir Putin con Magomed-Khadzhi Albogachiyev, Mufti dell’Inguscezia e Segretario del Centro di coordinamento musulmano del Caucaso del Nord (centro), e il Mufti Talgat Tadzhuddin, capo del Consiglio islamico della Russia e dei Paesi CSI, 9 maggio 2002

Con toni più soffusi nel supporto al generale Kahlifa Haftar – promossosi come paladino contro il salafismo in terra di Libia – la propaganda che vede Mosca ritratta come difensore del moderatismo musulmano trova in Siria la propria massima espressione attuale. Qui la Russia descrive il regime di Bashar al Assad sia come unico baluardo contro il dilagare del fondamentalismo jihadista incarnato dallo Stato islamico, che come protettore delle minoranze (elemento questo che permette al Cremlino di non dismettere i panni di patrona del cristianesimo di terra d’Oriente).

Appunto in Siria, Putin ha fatto ricorso all’uomo forte della comunità musulmana nel Caucaso settentrionale – il presidente della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov -e al suo entourage. A questi e all’associazione intitolata al padre di Kadyrov, Akhmat, sono riconducibili le ripetute distribuzioni di cibo e aiuti umanitari nelle aree controllate da Damasco, specialmente durante il Ramadan. Altre iniziative di matrice cecena includono l’impiego di uomini provenienti dalla Repubblica caucasica per svolgere servizio di polizia ad Aleppo e la ricostruzione della grande moschea ommayade nella medesima città. Grazie all’azione cecena, la Russia può rafforzare la propria presenza sul terreno (in particolar modo nell’area di Aleppo, dove le forze iraniane hanno giocato un ruolo preponderante) e la Cecenia stessa tenta di liberarsi della fama di estremismo che la circonda visti i conflitti avvenuti sul suo territorio.

Potente ambasciatore dell’Islam russo, Kadyrov non tralascia neppure l’Arabia Saudita, dove ha recentemente accompagnato Vladimir Putin in una visita in cui sono stati discussi dossier energetici e securitari (con un focus particolare su Yemen e Siria). Evidentemente, pur di corteggiare Riyad a scapito delle relazioni di quest’ultima con Washington, il discorso dell’Islam moderato russo è disposto a chiudere un occhio sull’intransigenza wahhabita.

Tags: IslamMedio OrienteRelazioni internazionaliRussia
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Alessandro Balduzzi

Alessandro Balduzzi

Nato a Clusone (BG) nel 1991, si è laureato presso la SSLMIT di Trieste e l'Orientale di Napoli. Durante il percorso universitario, trascorre periodi di studio in Austria, Russia e Marocco. Collabora con Limes - Rivista italiana di geopolitica e attualmente è di base a Beirut.

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