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Home Politica estera russa

La giornata nera dello sport russo

di Marco Limburgo
10 Dicembre 2019
in Politica estera russa, Politica interna e società russa, Russia
Tempo di lettura: 8 mins read
La giornata nera dello sport russo
Una vera e propria batosta quella che lunedì mattina si è abbattuta sul mondo dello sport russo. Riunita a Losanna, in Svizzera, l’Agenzia mondiale antidoping (WADA) ha decretato l’esclusione della Federazione russa dai prossimi eventi sportivi per un intervallo di quattro anni. Durante questo periodo, le rappresentative russe non potranno prendere parte alle manifestazioni sportive e nemmeno presenziare con i loro dirigenti ai Giochi Olimpici estivi e invernali, inclusi quelli paraolimpici, ai Giochi giovanili e a qualunque evento organizzato da una federazione sportiva internazionale. Vietate, quindi, le Olimpiadi di Tokyo 2020 e quelle invernali di Pechino, le Universiadi 2021 e 2023 (ospitate in Russia) mentre non dovrebbe essere a rischio la partecipazione della Nazionale russa e nemmeno San Pietroburgo come sede di Euro 2020, in quanto la UEFA non rientra come “grande organizzatore di eventi” nei regolamenti sulle violazioni antidoping.

In totale, 145 atleti russi saranno interessati dal provvedimento che ha, ovviamente, sollevato le rimostranze del mondo sportivo e politico russo. Gli atleti che riusciranno a dimostrare la propria estraneità potranno comunque prendere parte alle competizioni, senza però poter sfoggiare la bandiera nazionale tricolore, contentandosi di gareggiare sotto un’egida neutrale. Preso atto della sospensione, la Russia ha annunciato di esser pronta a collaborare, ma senza ottenere alcuna distensione o apertura da parte degli organi sportivi internazionali: “Ci dispiace, le autorità sportive russe sono state, sono e rimarranno il più aperte possibile alla cooperazione e alla collaborazione con la comunità sportiva internazionale e anche con l’Agenzia“, ha fatto sapere il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitrij Peskov. Più dura, invece, Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri, che ha affermato: “È in atto una politicizzazione della questione per buttare fuori la Russia. C’è un termine per questa cosa: concorrenza sleale. Il problema doping viene focalizzato esclusivamente sulla Russia, degli altri Paesi non si parla affatto“. ​

La severa condanna dell’Agenzia

Il durissimo provvedimento costituisce l’epilogo di una torbida vicenda che si trascina da diversi anni tra sospetti, denunce, inchieste e accuse di complotto internazionale. Complotto di stampo russofobo prontamente evocato dall’attuale primo ministro russo, Dmitrij Medvedev che ha non ha tardato nel condannare la severa decisione emanata, a suo dire, per puri scopi politici. La sentenza di oggi potrà essere ribaltata (o per lo meno alleviata) in un intervallo di tempo di 21 giorni, in cui l’agenzia antidoping russa potrà fare ricorso per sovvertire la sanzione o per lo meno alleggerirla. «Per troppo tempo – ha dichiarato Craig Reedie, presidente uscente dell’Agenzia, il doping russo ha offeso lo sport. La palese violazione da parte delle autorità russe delle condizioni di reintegrazione poste dall’Agenzia Antidoping nazionale Rusada hanno richiesto una risposta solida. Questo è esattamente ciò che è stato deciso oggi. Alla Russia era stata offerta ogni opportunità per mettere in ordine la sua casa e ricongiungersi alla comunità antidoping globale per il bene dei suoi atleti e l’integrità dello sport. Si è invece scelto di continuare in una posizione di inganno e negazione. Di conseguenza, il Comitato Esecutivo ha risposto nei termini più forti possibili, proteggendo allo stesso tempo i diritti degli atleti russi che possono dimostrare di non essere coinvolti e di non aver beneficiato di tali atti fraudolenti».

Foto: © Sputnik / Vladimir Pesnya

Dal 2015 al 2019 nessun sostanziale progresso

​La durezza della sospensione è frutto della recidività dimostrata dalle autorità sportive e governative colpite da un analogo procedimento nel 2015, posteriormente alle olimpiadi invernali tenute proprio in Russia, a Sochi nel 2014. Un’inchiesta frutto delle rivelazioni di Grigory Rodchenkov, ex capo del laboratorio di Mosca poi pentito e riparato negli Stati Uniti dopo ripetute minacce di morte, che rivelò un sistema perfettamente rodato di complicità tra autorità sportive e governative nel fornire farmaci per migliorare le prestazioni agli atleti russi impegnati nella manifestazione, nonché mettere in atto coperture e manomissioni complicando o valicando la vigilanza delle autorità antidoping internazionali. Un fulmine a ciel sereno, che costò alla Russia il ritiro di 13 medaglie vinte nella competizione, di altre 13 vinte nella precedente olimpiade del 2012 e l’esclusione di 3 anni (fino al 2018) dalle competizioni internazionali. Scaduto il bando, la Federazione sportiva russa si è impegnata ad un cambio di passo e maggiore trasparenza ma a fine settembre nuovamente settembre l’Agenzia Antidoping ha accusato Mosca di pesanti e reiterate irregolarità. Le provette richieste dalla commissione di inchiesta indipendente presenterebbero palesi manomissioni cosi come gli incartamenti figurerebbero modificati in modo da comprometterne l’integrità. Un importante mole di prove abbattutesi sulla residua credibilità dell’ente russo di riferimento e che ha conseguentemente convinto l’Agenzia antidoping a reiterare la condanna nei confronti della Russia colpevole, a loro dire, di uno dei peggiori scandali della storia sportiva.

Una condanna pesante ma abbastanza prevedibile, secondo l’opinione di Nicola Sbetti, ricercatore presso l’Università di Bologna e autore di diversi saggi sul tema politica e sport, in luce sia della reiterata volontà della Russia di preservare le illegittimità dopo le precedenti sanzioni e per via dell’impressionante mole di prove raccolte e testimonianze dirette senza precedenti. In gioco c’è la credibilità dell’agenzia stessa. Linda Helleland, vicepresidente dell’Agenzia mondiale antidoping, interpellata sulla vicenda, si è detta delusa dalla mitezza della decisione in quanto propendeva per una piena squalifica della Russia dagli sport mondiali. L’agenzia antidoping, inoltre, ha multato la Federazione sportiva russa costringendola al pagamento delle indagini per un totale di oltre cinque milioni di dollari.

Le reazioni ambivalenti del mondo dello sport

Pavel Kolobkov, Ministro dello Sport russo. Foto: Getty

Il mondo delle sport russo ha ovviamente reagito alla sanzione emessa dall’Agenzia Antidoping. Se Pavel Kolobkov (in foto), ministro dello sport russo, ha mantenuto una certa sicurezza: «Abbiamo fatto tutto quello che ci è stato richiesto dall’Agenzia Internazionale antidoping nel settembre 2018 », Jurij Ganus, il capo dell’agenzia antidoping russa Rusada, ha sostenuto che oramai la Russia “non ha nessuna chance di ribaltare in appello la decisione“. L’ex fuoriclasse dello sci di fondo e oggi presidentessa dell’Associazione russa di sci di fondo Elena Vialbe (già espressasi duramente nel 2015) ha rilanciato la condanna del primo ministro Medvedev dicendo di «non aver motivo di credere all’Agenzia antidoping piuttosto che al popolo russo. Quella contro di noi è una soap opera di pura isteria». Dello stesso tenore la condanna da parte del capo della Federazione russa di ginnastica Vasily Titov. Il segretario generale della Federazione Pugilistica della Russia Umar Kremlev ha dichiarato che “i pugili russi non vogliono andare ai giochi senza bandiera e inno“, e il presidente della Federazione di pallanuoto, immersioni e nuoto sincronizzato Andrei Vlasenko ha espresso la fiducia che comunque gli atleti russi “puliti” dimostreranno il loro valore anche in tali circostanze.

In controtendenza il parere dell quattro volte campione olimpico di biathlon Alexander Tikhonov che all’agenzia stampa RIA Novosti, ha dichiarato di accogliere con favore la decisione dell’Agenzia antidoping sulla Russia, che, a suo avviso, non è dovuta a motivi politici. “Abbiamo ottenuto ciò che meritavamo. Abbiamo così tanti ex atleti nella Duma di Stato, non potrebbero risolvere questo casino?”

Un contraccolpo alle ambizioni del Cremlino

Ricorso o meno, la presa di posizione dell’Agenzia antidoping getta un’onta profondissima sul mondo dello sport russo, oltre che sull’ambizioso tentativo della Federazione di promuovere, in tal modo, il proprio “soft power“. La presidenza Putin, fin dai già menzionati Giochi Olimpici Invernali di Sochi nel 2014 passando per il mondiale del 2018, ha difatti investito nell’organizzazione di eventi sportivi dal grande impatto mediatico all’interno di un progetto di rilancio della Russia nei consessi internazionali. Oltre che a fini meramente politici, gli eventi sportivi questa “sport diplomacy”, secondo il parere di Sbetti, ha permesso alla Russia di “promuovere internamente e internazionalmente la propria immagine, di redistribuire strategicamente le risorse collegate ai grandi eventi, di ridefinire alcuni obiettivi di sviluppo regionale“, oltre che imprimere una spinta propulsiva al settore turistico (recentemente rilanciato con la decisione di abolire progressivamente i visti d’ingresso). Un processo che logicamente prevedeva ottime prestazioni per le compagini nazionali o i singoli atleti impegnati nelle competizioni sportive nel mondo. Di fronte a cosi fondamentale fine, ogni mezzo è stato reputato lecito, costruendo un castello di carta di menzogne, frodi e malversazioni. La decisione dell’Agenzia solleva il velo sulla spregiudicatezza dimostrata da un paese troppo spesso condizionato dalla necessità di proiettare un immagine artificiosa di sé, sacrificando il benessere o le aspirazioni dei cittadini o, in questo caso, i sogni di promettenti atleti.

Tags: dopingOlimpiadiRussiasportWADA
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Marco Limburgo

Marco Limburgo

Da sempre appassionato di storia, letteratura e politica internazionale si laurea a Bologna in Storia Contemporanea e decide, successivamente, di trasferirsi a Forlì per studiare Scienze Internazionali e Diplomatiche, dove si laurea nel 2020. Socio fondatore di Osservatorio Russia, contribuisce al progetto con analisi inerenti all’Asia Centrale e alle relazioni tra Medio Oriente e Russia, nonché curando la rubrica di approfondimento storico Smolensk, di cui è coordinatore.

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