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Home Artico

Estremo Oriente, energia e risorse: quale sviluppo?

di Mattia Baldoni
31 Marzo 2020
in Artico, Economia, Energia e Ambiente, Politica interna e società russa
Tempo di lettura: 9 mins read

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Tanto ricco di risorse e potenzialità, quanto remoto e arretrato. Questo è il paradosso dell’Estremo Oriente russo, la lontanissima periferia della Federazione che cerca, tra moltissime difficoltà, di uscire dalla sua marginalità. 

Il settore dell’energia, grazie alla suddetta ricchezza, è stato e rimane il principale motore dello sviluppo della macroregione. Questo significa margini di crescita enormi, accompagnati però da una vincolante, e piuttosto radicata, dipendenza dall’andamento del mercato energetico, scomoda caratteristica dell’impianto economico della Federazione.

In questo contesto sterminato, fatto di immensi patrimoni, non è una sorpresa, dunque, se il primo capitale dell’economia russa figura essere quello naturale, come testimonia l’interessante studio di The World Bank-IBRD. Nonostante una certa dinamicità riscontrata nel settore agricolo e forestale, a dominare resta, come detto, il settore minerario-energetico.

Risorse del sottosuolo – Gas, petrolio, minerali….

Le quantità di ricchezza mineraria dell’Estremo Oriente russo sono letteralmente impressionanti: un quarto delle riserve di tungsteno, la totalità delle riserve di boro, più del 90% delle riserve di stagno e circa l’80% delle riserve di carbone di tutta la Federazione sono concentrati in questi territori, dove il settore minerario è trainante e rappresenta il 28% dell’economia regionale. Diverse compagnie straniere, tra cui i sauditi, tramite il fondo d’investimenti SABIC, hanno iniziato ad investire in quest’area. Dopo la visita di Putin a Riyad nell’ottobre scorso, un finanziamento congiunto è stato concordato con il Russian Direct Investment Fund (RDIF) per lo sviluppo di uno stabilimento per la produzione di metanolo a Skovorodino, Amur.

Non meno importanti risultano il gas e il petrolio, soprattutto per il loro potenziale “geopolitico” in tutta l’area Asia-Pacifico e per le rosee previsioni per questi settori. Alcuni studi affermano che l’estrazione di gas crescerà di quasi 2,5 volte entro il 2035, raggiungendo 80 miliardi di m3 all’anno, mentre quella di petrolio crescerà del 70%, fino a 118 milioni ton.

Cinque sono i giacimenti di gas naturale [Kovytinskoe (il più grande giacimento non ancora sfruttato); Čajadinskoe; Sachalin II e III; Кšuskoe e Nižne-Kvačikskoe] di recente scoperta o il cui sfruttamento è in via di sviluppo, e con esso importanti opere infrastrutturali. I gasdotti Sachalin-Chabarovsk-Vladivostok e Sobolevo-Petropavlovsk Kamčatskij andranno a completare il quadro dell’enorme progettazione a guida Gazprom Eastern Gas Program, la cui punta di diamante è il già operativo Power of Siberia.

Eastern Gas Program (Fonte – Gazprom)

​Diretto verso la Cina, il gasdotto costruito Gazprom e China National Petroleum Corporation (CNPC) percorre per 3.000 km la taiga russa trasportando circa 38 miliardi m3 all’anno fino al confine cinese. Tuttavia, gli obiettivi di questa grande opera guardano oltre la Cina. Numerosi sono infatti i risvolti anche sul fronte interno, considerando tutti i progetti che coinvolgono il ciclo di estrazione, collegamento e trasporto del gas naturale. Il potenziale aggancio della linea a quella diretta ai rigassificatori di Vladivostok rappresenta un’opzione dall’alto valore commerciale per Mosca. Essendo il gas del Power of Siberia sottoposto ad accordi di lungo periodo, la soluzione di esportare la materia prima via mare attraverso navi gasiere diventa più concreta. Di conseguenza, un terminale così attivo sul Pacifico permetterebbe alla Russia di entrare direttamente nei mercati asiatici dove si potrebbe realizzare maggior profitto. 

Oltre che motore dello sviluppo locale e internazionale, il gas si è, tuttavia, rivelato anche motivo di diversi malcontenti nella regione. Le tariffe energetiche sono state al centro della discussione sul trasferimento della Repubblica di Buriazia e del Territorio della Transbajkalia dal Distretto siberiano a quello dell’Estremo Oriente, avvenuto per decreto il 3 novembre 2018. Decisione, questa, ambivalente, vista come concreta opportunità di sviluppo dai rispettivi governatori, o come svendita del territorio e rincari economici dai cittadini.

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​Energia nucleare

L’Estremo Oriente russo ospita 5 reattori nucleari dei 38 operativi a scopo civile in tutta la Federazione, altrimenti concentrati nei distretti occidentali. Queste unità sono di dimensione molto modesta e l’elettricità da esse prodotte è destinata essenzialmente all’attività mineraria nel remoto nord del Circondario autonomo di Čukotka. La centrale più vecchia è quella di Bilibino, che conta 3 reattori operativi, una struttura pioneristica per l’epoca sovietica (1976), l’unica al mondo costruita sul permafrost e oltre il Circolo Polare Artico, ideata per supportare il locale settore estrattivo. Ricchi giacimenti di oro, metalli preziosi e rame circondano il villaggio, serviti dai 36MW della centrale.

Sulla scia dell’innovazione, questa regione estrema si è resa nuovamente protagonista con il recente ambizioso progetto dell’agenzia Rosatom. Il 19 dicembre 2019 la prima centrale nucleare galleggiante russa è stata connessa alla rete, segnando così un nuovo primato. L’Akademik Lomonosov, fornita di due reattori da 64MW complessivi, è ormeggiata presso il porto di Pevek, il centro abitato più settentrionale di tutta la Federazione, sempre in Čukotka. Primo esemplare di sei ulteriori progetti, l’Akademik è costata dieci volte meno del costo di una centrale nucleare tradizionale, spianando la strada ad ulteriori innovazioni in questo ambito. La sua funzione principale è la fornitura di energia elettrica alle miniere circostanti, ma comprende anche impianti per la desalinizzazione e il teleriscaldamento. Rosenergoatom, succursale di Rosatom, considera queste piattaforme galleggianti delle notevoli opportunità per lo sviluppo della regione artica e dell’Estremo Oriente russo, aree in cui opererebbero le future strutture progettate.

L’Akademik Lomonosov, la centrale nucleare galleggiante, diretta verso il porto di Pevek, estate 2019 (Fonte – Rosatom)

Artico: ricchezza e povertà

Le sterminate potenzialità dell’Artico si celano dietro la parallela tragedia del cambiamento climatico e lo scioglimento di ghiacciai e permafrost. 6000 km di coste nel Mar Glaciale Artico, che da inizio 2019 ricadono sotto la giurisdizione del Ministero dello sviluppo dell’Estremo Oriente. Si stima che il 40% delle riserve combustibili fossili del mondo sia nell’area dell’Artico. Per la Russia, una miniera d’oro: non solo lo sfruttamento economico esclusivo entro le proprie 200 miglia nautiche, come previsto dal diritto del mare, ma anche il controllo dell’80% delle riserve fossili artiche, inglobando un’area di 1,2 milioni di km2 in più.

E quello dello sviluppo dell’Artico e dell’Estremo Oriente russo è un piano complementare, che si dovrebbe basare, come sostenuto da Il’ja Stepanov, su due livelli di integrazione, orizzontale e verticale.

La prima prevede lo sviluppo complementare dei settori e dei servizi industriali in altre regioni. Nel caso della zona artica, la disponibilità e l’accessibilità delle risorse naturali, principalmente petrolio e gas, giocano un ruolo cruciale nella rotta per il Mare del Nord. Si dovrebbe così creare non solo un canale per esportare risorse all’estero, ma anche una solida rete industriale e logistica, che unisca i progetti del Nord e dell’Estremo Oriente. L’opera complementare delle navi rompighiaccio a propulsione nucleare e dei rigassificatori tra la Kamčatka e la penisola di Kola sono l’esempio più evidente.

L’integrazione verticale riguarda prettamente la localizzazione della produzione delle tecnologie e delle attrezzature necessarie per l’attuazione dei progetti. Laddove la maggior parte delle apparecchiature è di fattura estera, la Russia dovrebbe investire maggiormente nella ricerca e nello sviluppo high-tech a livello nazionale, supportando così un’economia delle materie prime meno rudimentale, innovativa, senza la quale lo sfruttamento delle potenzialità delle regioni settentrionali e orientali sarà molto lento.

Tempi lunghi per spazi immensi

Eastern Economic Forum, Vladivostok 2019 (Fonte – EEF)

Caratteristica comune dei modelli di gestione dell’Artico e dell’Estremo Oriente russo è la prevalenza della componente geostrategica su quella economica. Questa macroregione è diventata territorio di progetti su larga scala, incentrati principalmente sull’estrazione, la lavorazione e il trasporto di risorse naturali. Per l’attuazione di molti di questi piani, tuttora in via di sviluppo, saranno fondamentali il sostegno statale e gli sforzi delle compagnie nazionali. Senza questo supporto, non vi sarebbe alcuna attività economica in questi territori. La geografia del reinsediamento e dell’attività economica è in gran parte un retaggio dell’epoca sovietica, incentrata sullo sfruttamento delle ricchezze naturali qui presenti. All’ambiente estremo, alla scarsa qualità o mancanza di infrastrutture e alla vastità dei territori, si sommano oggi le leggi del libero mercato, che per quest’area remota, a queste condizioni, rappresentano un ostacolo insormontabile. Il potenziale economico delle regioni è ampio, dato il nuovo ruolo dell’Artico nell’economia globale, così come il potere economico in costante crescita dei paesi asiatici, ma il processo di sviluppo dell’Artico e dell’Estremo Oriente russo potrà sviluppare dinamiche autonome e proficue solo sul lungo termine.

Tags: Estremo Orientegasgasdottopetroliosviluppo
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Mattia Baldoni

Mattia Baldoni

Caporedattore di Osservatorio Russia. Laureato magistrale in Sviluppo locale e globale, ha partecipato a progetti di cooperazione internazionale in Georgia, Grecia, Azerbaigian e Bulgaria. Le principali tematiche di cui si occupa sono la politica estera ed energetica russa e del mondo post-sovietico. Collabora inoltre con Il Caffè Geopolitico e altre testate. Leggi i suoi articoli anche su: Il Caffè Geopolitico 

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