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Home Ucraina e Moldova

L’Ucraina tra riforme, oligarchi ed etnonazionalismo

di Claudia Ditel
24 Maggio 2020
in Ucraina e Moldova
Tempo di lettura: 7 mins read

Ad un anno dall’insediamento, il Presidente ucraino Zelensky gode ancora di altissimi consensi tra la popolazione, nonostante le turbolenze scaturenti dai suoi legami fuligginosi con l’oligarca Ihor Kolomojskij e le rinnovate pressioni dei nazionalisti ad Est, che ostacolano il raggiungimento di un accordo per lo status delle regioni separatiste.​

Ihor Kolomojskij, il terzo uomo più ricco del Paese ed ex co-proprietario della PrivatBank prima dell’avvenuta nazionalizzazione nel 2016, fu accusato dall’allora presidente Poroshenko di speculazione contro la Banca Nazionale Ucraina e per questo costretto all’esilio. La figura del potente businessman è tornata alla ribalta con l’ascesa di Zelensky. Kolomojskij infatti, oltre ad aver appoggiato finanziariamente le forze ucraine nelle repubbliche separatiste, rimane una figura chiave nell’entourage presidenziale. Non sembrerebbe un caso che Kolomojskij sia proprietario di quella TV in cui veniva trasmessa la serie che ha reso celebre l’attuale presidente ucraino. Nonostante egli stesso abbia fatto della politica anticorruzione contro l’arricchimento illecito degli oligarchi ucraini il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, si ha l’impressione che Zelensky non possa rinunciare alla presenza del potente oligarca.

Tuttavia, non mancano scontri per quanto riguarda la politica estera: Kolomojskij, nei suoi discorsi in pubblico, alimenta l’avversione verso un Occidente che egli definisce ‘impassibile e indifferente‘ verso la questione Ucraina, se non quando si tratta di utilizzare la stessa come pedina in una guerra per procura contro la Russia. Egli ha infatti più volte incoraggiato pubblicamente la presidenza a cercare l’appoggio russo invece che degli Stati Uniti e dei leader europei. Dichiarazioni da cui Zelensky si è trovato costretto a prendere pubblicamente le distanze, per mantenere in piedi il fragile castello di carta che ha costruito nelle trattative con Mosca e con l’Europa. ​
L'incontro multilaterale tra il Presidente russo Putin, il Presidente francese Macron, la Cancelliera tedesca Merkel e il Presidente ucraino Zelensky, 12 ottobre 2019
L’incontro multilaterale tra il Presidente russo Putin, il Presidente francese Macron, la Cancelliera tedesca Merkel e il Presidente ucraino Zelensky, 12 ottobre 2019

​Nonostante qualche incidente di percorso, la popolarità di Zelensky rimane alta, soprattutto per il suo approccio nei confronti della questione del Donbass, che gli permette di godere anche delle simpatie delle democrazie occidentali. La formula Steinmeier – un procedimento per il raggiungimento di uno status quo semplificato nel Donbass rispetto al contenuto del protocollo di Minsk – è un format che si è rivelato efficace per aprire un dialogo con la Russia. Francia e Germania fanno pressione su Kiev, intravedendo nell’applicazione della formula la speranza per una stabilizzazione ed una ripresa dei rapporti economici tra Russia e Ucraina, cruciali per il passaggio del gas in Europa.

Nel vìs-a-vìs con Mosca, Zelensky ha dimostrato di essere aperto al dialogo piuttosto che arroccarsi in posizioni nazionaliste e toni provocatori. Ha persino inaugurato un nuovo tipo di negoziati, ovvero lo svolgimento di incontri bilaterali con Putin al fianco del tradizionale vertice multilaterale tra Berlino, Parigi, Kiev e Mosca. Il secondo aspetto innovativo della strategia Zelensky riguarda l’attenzione alle dinamiche bottom-up. Differentemente dal predecessore Poroshenko, il metodo del neopresidente consiste nel voler ‘riconquistare‘ gli abitanti del Donbass, concentrando gli sforzi verso la costruzione di opere e infrastrutture che permettano di connettere le periferie delle Repubbliche di Donesk e Lugansk con Kiev.

Strategia a cui fa eco l’uso della lingua russa al pari di quella ucraina nei discorsi pubblici di Zelensky. Un elemento da non sottovalutare, considerando la centralità che aveva la nazionalizzazione della lingua ucraina nell’agenda di Poroshenko. In altre parole, quella di Zelensky è una pace costruita dal basso, in contrapposizione ad una pace contrattata dai vertici. Una strategia che potrebbe porre le basi per una reintegrazione stabile del Donbass, la possibilità di maggior potere negoziale con la Russia e la contrattazione per una legge elettorale che determini l’applicazione della formula Steinmeier.

Ad opporsi sono gli etnonazionalisti, che non vogliono cedere a quanto previsto dalla formula, che ai loro occhi significherebbe una ‘capitolazione‘. Lo scorso ottobre, sia Kiev che la città di frontiera Zolote sono state attraversate da venti di protesta. Sono tuttavia un gruppo minoritario rispetto alla maggior parte degli Ucraini che ha allentato il sentimento antirusso negli ultimi mesi. Secondo i dati del 2020, l’opinione positiva degli Ucraini nei confronti dei Russi è del 54%. Un dato positivo se paragonato agli anni dal 2014 al 2018, in cui non superava il 48%.

La centrale termoelettrica di Lugansk, polo industriale nel Donbass

La guerra con la Russia, fomentata dalla retorica aggressiva e nazionalista di Poroshenko, non ha fatto altro che ledere le finanze dei cittadini ucraini negli ultimi anni. L’isolamento dell’Ucraina dall’economia europea e da quella russa non porta benefici nel lungo periodo e si è conclusa solo con un nulla di fatto sul piano internazionale. Dopo una riduzione drastica del PIL a partire dal 2013 e con una disoccupazione tutt’oggi intorno al 10%, l‘economia ucraina rimane instabile. Solo il ripristino di un equilibrio politico ed economico con il vicino russo, da cui Kiev è sempre stata molto dipendente, può garantire una ripresa delle finanze.

Le parti orientali, in particolare la zona industriale del Donbass, sono rimaste devastate dal conflitto. Non c’è quindi possibilità di ripresa se non si avvia una ristrutturazione decisa delle periferie. Essendo per questo necessaria prima una stabilizzazione politica, la questione economica e della disoccupazione hanno preso il sopravvento sulla questione nazionalista e sul braccio di ferro con Mosca. In sostanza, i cittadini ucraini non hanno più voglia di fare la guerra.

Gli equivoci legami con la sfera degli oligarchi e il limitato impegno europeo non rappresentano elementi di novità relativamente alla questione sullo status delle Repubbliche separatiste. Ciò che invece rappresenta un punto di svolta – per lo meno nei negoziati, a prescindere quindi dal risultato effettivo – è il cambio di strategia nei confronti di un Donbass sempre meno ucraino. Lavorare per intensificare gli scambi alla frontiera, non solo di beni ma anche di persone, aumenterebbe sì il benessere economico, ma anche la cooperazione e il dialogo interetnico, dunque la fiducia reciproca.

Quest’ultima è un elemento cruciale, spesso la chiave di volta per il rispetto del cessate il fuoco e il raggiungimento di una pace stabile e duratura nel tempo. Tuttavia, soprattutto nell’area post-sovietica, l’attenzione alle dinamiche della periferia passano in secondo piano, a privilegio invece delle trattative formali e in una gestione del conflitto top-down. Riconsegnare alla periferia un posto centrale significa adottare un quadro d’insieme più ampio ed una visione di lungo periodo e meno miope, che racchiude la molteplicità delle dinamiche del conflitto e dunque che coglie una pluralità di soluzioni.

Nonostante l’attesa risposta di Mosca, che si concretizzerà molto probabilmente nell’intensificarsi della campagna anti-ucraina e anti-occidentale, il tentativo di coinvolgere le comunità di periferia nella ricostruzione sociale ed economica presenta del potenziale. A prescindere dal risultato, ciò che conta è che, nella sua inesperienza, l’ex comico Zelensky ha colto un punto importante della questione, che rimarrà probabilmente centrale nell’agenda di politica estera di Kiev: la ricostruzione della società. Ricucire il tessuto proprio lì dove si era strappato. Se un tale approccio dovesse portare ad uno sblocco nei negoziati con la Russia, si andrebbe a creare un precedente da applicare per ‘scongelare‘ tutti quegli scambi che rimangono bloccati nelle periferie, in una regione che va dal Mar Nero al Mar Caspio e che conosciamo come la terra dei conflitti congelati.

Tags: Ucraina
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Claudia Ditel

Claudia Ditel

Claudia nasce a Sassari nel 1994 e nel 2013 si trasferisce a Napoli per studiare Relazioni Internazionali e russo all’Orientale, dove si laurea con una tesi sulla prospettiva della Russia rispetto alla creazione di un esercito europeo. La passione per gli studi sulla Russia la porta a intraprendere un progetto di volontariato nella città di Yaroslavl nell’estate del 2016 e a continuare il percorso di studi all’Università Alma Mater di Bologna, Campus di Forlì, dove attualmente è iscritta al primo anno del MIREES (Master of Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe). Con entusiasmo ho deciso di contribuire a far crescere il progetto Russia 2018, che considero un’iniziativa credibile e originale, perché sulla Russia c’è sempre tanto da dire ma non è mai abbastanza.

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