Negli ultimi mesi il Kirghizistan è stato protagonista di nuove tensioni che, come già in passato, hanno portato a un cambio ai vertici di potere. I recenti eventi hanno evidenziato ancora una volta quanto sia eterogeneo e complesso il tessuto sociale del Paese centroasiatico e quanto questo si rifletta anche nella sua politica. È quindi necessario fare un passo indietro e provare a capire le origini di queste divisioni interne.
Il Kirghizistan è abitato da circa sei milioni di persone appartenenti a etnie differenti; la principale è quella kirghisa, seguita da quella uzbeka e quella russa. Quest’ultima era molto più consistente in epoca sovietica, ma a partire dai primi anni dell’indipendenza molti russi, specialmente quelli più qualificati, hanno scelto di abbandonare il Paese. La maggior parte delle persone di etnia russa abita nella parte settentrionale della piccola repubblica, in particolare nella capitale Bishkek. Ad oggi non si sono mai verificate situazioni di particolare tensione e il russo continua a mantenere lo status di lingua ufficiale.
Non si può dire la stessa cosa dei rapporti tra uzbeki e kirghisi. I primi si trovano prevalentemente nella parte meridionale del Paese, soprattutto nelle province di Osh, Jalalabad e Batken. Molti di questi territori, inoltre, fanno parte della Valle di Fergana, un’area attualmente divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, i cui confini non corrispondono però alla reale suddivisione etnica. Nel corso degli anni ci sono stati numerosi episodi di violenza che hanno contribuito ad accrescere le tensioni, tra questi anche quelli tra uzbeki e kirghisi.
Uno degli eventi più gravi nella storia recente del Paese risale a giugno 2010, quando nella città di Osh hanno avuto luogo degli scontri, che si sono successivamente estesi anche in altre città, in cui hanno perso la vita circa 420 persone, migliaia sono rimaste ferite e molti altri sono stati costretti a lasciare le proprie case. Tensioni che inizialmente sembravano essere di natura politica si son ben presto trasformate in un vero e proprio scontro tra le due etnie. Ma i problemi tra i due gruppi hanno delle origini più lontane, tanto è vero che venti anni prima, nelle stesse zone, si era già verificato un acceso conflitto.
Nel 1990 la causa delle ostilità affondava le sue radici nel crescente nazionalismo kirghiso e nel possesso della terra. Molti kirghisi, infatti, volevano per sé dei terreni appartenenti sì al loro Stato, ma da sempre abitati dagli uzbeki, che d’altro canto iniziarono a dar vita a organizzazioni per promuovere i propri diritti e in alcuni casi a movimenti separatisti.
Nel 2010 invece quello che accadde fu legato alla Rivoluzione dei Tulipani, avvenuta cinque anni prima, e alle sue conseguenze. L’ex presidente Akayev, rimosso in seguito alla rivoluzione, parlava di Kirghizistan come di “casa comune” e puntava molto a un modello civico di nazionalismo. Proprio per questo motivo, negli anni in cui è stato al potere gli uzbeki continuarono a essere rappresentati a livello locale. Dal 2005 in poi molti rappresentanti furono invece sostituiti con i kirghisi del sud, più vicini a Bakiyev, l’allora nuovo presidente. Quando anche Bakiyev fu deposto nel 2010 in seguito a una nuova rivoluzione, i rapporti interetnici, già tesi, s’inasprirono ulteriormente perché i kirghisi del sud temevano di perdere i privilegi acquisiti.
Le frammentazioni interne alla nazione però non sono solo di tipo etnico, ma anche clanico. Gli stessi kirghisi presentano delle divisioni interne che si riflettono nella politica del Paese ancora oggi. I partiti politici, infatti, non sono legati tanto a ideali o programmi differenti quanto all’appartenenza clanica, o comunque a istituzioni sociali informali. Sebbene alcune strutture sociali si siano indebolite nel corso del tempo, la loro influenza è ancora molto forte. Proprio queste peculiarità indeboliscono ancora oggi la pubblica amministrazione dello Stato, caratterizzata da nepotismo e corruzione. Questo è evidente sia a livello locale che nazionale e in ogni aspetto della vita pubblica, da quello giudiziario a quello militare.
Avendo a disposizione queste informazioni si può comprendere meglio anche il significato della recente riforma costituzionale, approvata tramite referendum durante le ultime elezioni. Una forma di governo presidenziale, come quella appena votata, ha da un lato il vantaggio di riuscire a imporre più facilmente la propria autorità sui vari clan, dall’altra lo svantaggio di essere meno rappresentativa in un Paese così eterogeneo.
Attualmente la nazione centroasiatica si presenta come debole, povera e divisa. Nessuna delle rivoluzioni precedenti ha portato a un reale miglioramento di vita dei cittadini e la recente pandemia ha contribuito a peggiorare la già tesa situazione generale. L’equilibrio appena raggiunto non durerà se non verranno messi in discussione alcuni dei problemi endemici del Paese.
Di stabilità ha parlato subito anche il neoeletto presidente Sadyr Japarov, appellandosi al senso di unità dei vari gruppi politici. Molto influente a livello mediatico, è riuscito, anche tramite le sue alleanze personali, a ottenere consensi anche nelle aree meridionali pur provenendo dalla regione Issyk-Kul, situata a nord. È troppo presto per dare un giudizio sul suo operato, quel che è certo è che durante la sua campagna elettorale ha fatto ricorso a diversi discorsi definiti da molti come populisti e non sempre corrispondenti alle sue azioni. Difficilmente comunque avverrà un cambiamento radicale all’interno del Paese nel giro di poco tempo a causa delle sue strutture interne così profondamente consolidate.