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Home Geopolitica

Mongolia, la steppa negli equilibri tra Russia e Cina

di Marco Limburgo
13 Maggio 2021
in Geopolitica, Politica estera russa, Russia
Tempo di lettura: 9 mins read
Mongolia, la steppa negli equilibri tra Russia e Cina

Sospesa tra il soffocante abbraccio di Russia e Cina, la peculiare condizione geopolitica della Mongolia presenta rischi e opportunità in un contesto piuttosto volatile. Il peso della storia e i legami commerciali legano Ulan Bator sia a Mosca che a Pechino. Per la Mongolia esistono notevoli possibilità per perseguire un approccio multilaterale potenzialmente vincente.

Il dilemma dei piccoli Stati, costretti tra due grandi potenze, una in prepotente ascesa e l’altra in uno stato di postura conservativa, costituisce un caso da manuale per i teorici del realismo politico. Tra la necessità di perpetuare l’equilibrio tra sfere di influenza che si compenetrano e questioni energetiche ed economiche di crescente attualità, la Mongolia rappresenta un’incognita in un’Eurasia fulcro di dinamiche di potere globale in via di ridefinizione.

Solida democrazia, emanazione di un passato socialista, sospesa tra l’autocrazia cinese e la democratura russa, la Mongolia enorme e poco popolata (poco più di tre milioni di abitanti) distesa di steppa erede di un invitto impero, rappresenta la chiave di volta della disfunzionale alleanza tra Mosca e Pechino. Al di là degli ingombranti vicini, per Ulan Bator si presentano rischi e opportunità in grado di influire sull’autonomia decisionale della terra di Gengis Khan.

Da teocrazia a repubblica socialista: introduzione storica

Il governo della Mongolia viene trasferito dalla teocrazia al Partito popolare, guidato da Damdiny Sükhbaatar.

Volendo delineare la parabola storica della Mongolia non si può prescindere dall’affrontare questo tema illustrando trascorsi e rivalità degli ingombranti vicini. Eredità statuale di quell’Impero mongolo esteso dalla Cina all’Europa Orientale, la Mongolia nasce nell’alveo di un processo di mediazione delle sfere influenza russo-cinese[1]. Già provincia dell’Impero Qing, la Mongolia esterna ha intrapreso un percorso di indipendenza nel 1911 con il crollo della dinastia Manciù e la nascita del Khanato di Mongolia, teocrazia espressione della potentissima élite monasteriale buddhista.

L’Accordo di Khiagt del 1915 decretò una parziale coabitazione tra Cina e Impero russo concordando sulla salvaguardia dell’autonomia sotto protettorato cinese[2]. Ogni tentativo di reintegrare il paese nella neonata Repubblica cinese fallirà per la decisa opposizione dell’élite khalka. Il trionfale ingresso delle forze bolsceviche nel Paese, giunte al fine di espellere le residue forze bianche sulla scia della vittoria nella guerra civile russa, istituì una repubblica popolare patrocinata da Mosca che sarebbe durata fino al 1991.

Guidata dal Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo, la Repubblica Popolare si legò fortemente ai destini dell’Unione Sovietica che ne garantì la stabilità interna, la sicurezza (stanziando in loco decine di migliaia di effettivi dell’Armata Rossa contro ogni possibile colpo di mano revanscista cinese) e una sostanziale crescita economica, trainata dalle importazioni di manufatti e dalla concessione a prezzi calmierati di idrocarburi. Dolorosa ferita la parentesi della collettivizzazione di matrice stalinista, che intaccherà profondamente lo stile di vita tradizionale degli autoctoni.[3]

Durante i quattro decenni del segretariato di Yumjaagiin Tsedenbal, in particolare, le relazioni tra i Paesi si fecero così strette che le élite sovietiche parlavano della Mongolia come “la sedicesima Repubblica Sovietica” a causa della deferenza mostrata.[4] Nonostante ciò, cadrà nel vuoto ogni appello di annessione all’Unione Sovietica visto il parere contrario sovietico, attento a non provocare una reazione cinese. L’avvento al potere di Michail Gorbačëv, la perestroika e i cambiamenti sociodemografici nel paese furono i motivi dietro quella rivoluzione democratica del 1989-90 che intaccherà drasticamente il carattere del paese in termini identitari.

Russia e Mongolia, una partnership duratura

Il presidente della Mongolia Khaltmaagiin Battulga e Vladimir Putin a Vladivostok, settembre 2017

L’avvento della democrazia e il crollo dell’URSS non rappresentò, a differenza di altre realtà statuali già nella sfera di influenza sovietica, la fine dell’influenza economica, politica e culturale russa in Mongolia. Al di là del fattore linguistico (il russo, seppur declinante di fronte all’incedere dell’inglese, è tutt’ora la lingua più studiata nel Paese) e culturale, l’economia della Federazione e della Repubblica mongola appaiono decisamente interrelate, complici i legami infrastrutturali transfrontalieri, i residuali investimenti russi e una certa comunanza strategica.

Archiviato il declino postsovietico e ripristinata la postura imperiale, con l’ascesa alla presidenza di Vladimir Putin, la Russia ha intrapreso una decisiva svolta ad Est ricostruendo legami diplomatici, commerciali e militari con paesi come la Mongolia[5]. Nel 2019 la firma del Trattato di amicizia, costituisce l’epilogo di un percorso di riavvicinamento favorito dal rinvigorimento delle relazioni commerciali, dalla presenza in loco di società russe coinvolte in importanti progetti di investimento e dalla cooperazione nel settore della difesa.

A seguito di una serie di accordi siglati nel 2014, la quota russa del mercato petrolifero mongolo è salita all’80%. Nel 2018 la compagnia petrolifera Rosneft ha firmato contratti per un valore di 2,1 miliardi di dollari con gli importatori mongoli mentre il commercio bilaterale ha raggiunto quota 1,8 miliardi di dollari, un aumento di quasi il 40% rispetto all’anno precedente. Non solo economia, Ulan Bator si è unita alla Russia nel prendere parte all’esercitazione militare Vostok 2018 e ha ospitato circa 1.000 soldati russi durante l’esercitazione congiunta Selenga 2020.

L’incognita cinese

Nonostante la scarsa attrattività del ridottissimo mercato mongolo, la notevole considerazione del Cremlino nei confronti del vicino meridionale si spiega anche con la necessità di evitare un possibile slittamento di Ulan Bator all’interno della sfera di influenza cinese. Nonostante la memoria di un ostile passato che ha innalzato un muro di reciproca diffidenza tra mongoli e cinesi, il crescente peso economico di Pechino in Mongolia costituisce un motivo di notevole preoccupazione e una potenziale minaccia a lungo termine.

Con una quota del 70% delle esportazioni che raggiungono il suolo cinese, la presenza in loco di imprenditori e imprese dell’ecumene imprenditoriale della Repubblica Popolare, i diktat e la longa manus di Pechino appaiono sempre meno resistibili[6]. Una condizione apparsa ancora più evidente nel corso della visita in Mongolia del Dalai Lama, leader spirituale (inviso alla Cina) del popolo tibetano e dall’eloquente silenzio di Ulan Bator nei confronti delle politiche di “sinizzazione” della minoranza mongola nella Repubblica Popolare.

Se nel primo caso la minaccia di dazi verso le merci mongole è bastata per non reiterare l’invito verso il leader buddhista, nel secondo caso il silenzio mongolo ha inferto una dura ferita a un popolo orgoglioso. Un maggiore impegno e connettività con la Cina si traduce in maggiori opportunità, ma comporta un certo grado di rischio, poiché l’influenza della Cina può avere effetti di ricaduta negativi su questioni che vanno dalla governance alla stabilità economica.[7]

I margini di manovra

Le bandiere mongole, cinesi e russe issate su veicoli blindati durante l’esercitazione militare Vostok 2018 nella Siberia orientale.

Al di là della competizione tra due sfere di influenza emergono importanti spazi di manovra per Ulan Bator. Seppur pressata dagli imperativi geopolitici degli ingombranti vicini, la Mongolia prospera in questo contesto risentendo degli ostacoli alla cooperazione. Se l’incompiutezza della cooperazione sino-russa pone un ostacolo non indifferente nel liberare l’effettivo potenziale degli scambi, la realizzazione di collegamenti infrastrutturali in grado di mettere in comunicazione la Siberia alla Cina potrebbe creare linee di continuità dall’impatto duraturo. [8]

Caso studio di particolare interesse è legato alla possibilità di impiegare il territorio mongolo come snodo per un secondo gasdotto in grado di ampliare la portata dell’esportazione di idrocarburi che dalla Siberia giungono in Cina. Transitando attraverso la steppa mongola, una riedizione del Power of Siberia permetterebbe al gas di raggiungere con maggiore facilità i territori urbanizzati del gigante asiatico. Un progetto dal sicuro impatto economico rallentato dalla verbosità dei negoziati sino-russi nonché dalla pavidità cinese nel voler includere attori terzi in tale scambio.

D’altra parte, l’approfondimento del partenariato politico sino-russo rende piuttosto difficile lo sforzo della Mongolia di bilanciare le relazioni con ciascuno dei suoi due vicini, con l’obiettivo di evitare la dipendenza da uno dei due. Il rischio primo risiede nella difficoltà di mantenere una politica estera bicefala nell’eventualità di un’inversione di rotta nel fragile idillio tra Mosca e Pechino. La fine dell’ambiguità strategica e conseguente slittamento verso uno dei due poli potrebbe intaccare la tipica versatilità dell’approccio geopolitico della repubblica. [9]

“L’occhio dell’aquila mongola guarda lontano“

La necessità di sfuggire a questa eventualità potenzialmente letale è alla base della ecletticità strategica dei decision makers mongoli, che sta incontrando il favore di partner geograficamente distanti ma imprescindibili sulla scena internazionale, Washington in primis. Un’assertività personificata dalla figura di Khaltmaagiin Battulga, presidente dal 2017. Con l’intenzione di rilanciare il paese sul palcoscenico mondiale si spiega l’offerta di ospitare i colloqui tra l’ex presidente americano Trump e il dittatore coreano Kim Jong Un. L’organizzazione dell’Ulaanbaatar Dialogue (UBD), forum internazionale sulla sicurezza del Nord-Est asiatico, ha fini non differenti.

Poiché il principale dilemma geopolitico della Mongolia è legato alla necessità di perpetuarsi come democrazia all’interno di un contesto autocratico, Ulan Bator necessita di mantenere un equilibrio, coltivando relazioni con “Paesi terzi” per equilibrare l’influenza russo cinese[10]. Il dilemma geopolitico mongolo svanirà a condizione che Ulan Bator si diversifichi scegliendo un approccio multipolare in ambito politico, economico e strategico.

La Mongolia ha il potenziale per essere percepita non solo come piattaforma di dialogo, ma costituisce un hub commerciale lungo la piattaforma euroasiatica. Perpetuare strategie di cooperazione a lungo raggio offrirà grandi opportunità per un paese ansioso di sviluppare legami con vicini terzi per mantenere un certo grado di autonomia politica sulla scena mondiale e non soccombere all’abbraccio mortale dell’Orso o del Dragone.


Riferimenti bibliografici

[1] Thomas E. Ewing. Between the Hammer and the Anvil. Chinese and Russian Policies in Outer Mongolia, 1911–1921 Bloomington, IN, 1980. p. 36.

[2] Sergius L. Kuzmin, Кузьмин С.Л. 2015. Столетие Кяхтинского соглашения 1915 г. между Россией, Монголией и Китаем (Kuzmin S.L. 2015. Сentenary of the Kyakhta Agreement of 1915 between Russia, Mongolia, and China)

[3] Bradsher, Henry S. “The Sovietization of Mongolia.” Foreign Affairs, vol. 50, no. 3, 1972, pp. 545–553. JSTOR, www.jstor.org/stable/20037928. Accessed 12 May 2021.

[4] Soviet Economy in a Time of Change: A Compendium of Papers, Part 2 United States. Congress. Joint Economic Committeegen 1979 U.S. Government Printing Office

[5] Batbayar, Tsedendamba. “MONGOLIAN-RUSSIAN RELATIONS IN THE PAST DECADE.” Asian Survey, vol. 43, no. 6, 2003, p.958 JSTOR, www.jstor.org/stable/10.1525/as.2003.43.6.951. Accessed 12 May 2021.

[6] Jeffrey Reeves (2013) Sino-Mongolian relations and Mongolia’s non-traditional security, Central Asian Survey, 32:2, p.183, DOI: 10.1080/02634937.2013.771980

[7] Jeffrey Reeves (2012) Mongolia’s evolving security strategy: omni-enmeshment and balance of influence, The Pacific Review, 25:5, pag. 612, DOI: 10.1080/09512748.2012.728241

[8] Krishna, Vaishali. (2015). Mongolian Foreign Policy Implications for Russia and China. Mongolian Journal of International Affairs. 19. 10.5564/mjia.v19i0.406.

[9] Lkhaajav, Bolor, “The Significance of Mongolia’s Foreign Policy and Security Apparatus on a Global and Regional Scale” (2018). Master’s Projects and Capstones. 774. https://repository.usfca.edu/capstone/774

[10] Sharad K. Soni, The Geopolitical Dilemma of Small States in External Relations: Mongolia’s Tryst with ‘Immediate’ and ‘Third’ Neighbours in The Mongolian Journal of International Affairs, : https://10.5564/mjia.v20i0.1023 pag. 43

Tags: AsiaCinageopoliticaMongoliaRelazioni internazionaliRussia
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Marco Limburgo

Marco Limburgo

Da sempre appassionato di storia, letteratura e politica internazionale si laurea a Bologna in Storia Contemporanea e decide, successivamente, di trasferirsi a Forlì per studiare Scienze Internazionali e Diplomatiche, dove si laurea nel 2020. Socio fondatore di Osservatorio Russia, contribuisce al progetto con analisi inerenti all’Asia Centrale e alle relazioni tra Medio Oriente e Russia, nonché curando la rubrica di approfondimento storico Smolensk, di cui è coordinatore.

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