Dal prossimo 15 febbraio nell’UE entrerà in vigore il price cap, soglia massima di prezzo per l’acquisto di gas. Mosca ha già preso contromisure, bandendone la vendita a chi vi aderisce e avvicinandosi ulteriormente alla Cina. Sul nucleare, però, certe forme di cooperazione restano.
Fin dalle prime settimane che hanno seguito lo scoppio della guerra in Ucraina è stato chiaro che l’impatto sul settore energetico russo ed europeo sarebbe stato considerevole. L’Europa, decisa a porre sanzioni alla Russia in ambito energetico per eliminare la sua principale fonte di introiti, è parsa rendersi conto tutto d’un tratto della sua decennale ed eccessiva dipendenza dall’importazione di risorse energetiche da Mosca.
Prima dello scoppio del conflitto, nel 2021, il mercato del gas europeo era rifornito per il 50% da gas russo e – di contro – il 45% delle entrate del budget federale russo proveniva dal settore energetico, in particolar modo dall’esportazione di petrolio e gas naturale[1]. La decisione europea di tagliare gradualmente la propria domanda di risorse energetiche alla Russia, per evitare di finanziare indirettamente il conflitto, ha portato entrambi gli attori a rivedere radicalmente i propri sistemi energetici: l’Europa per trovare nuovi fornitori, la Russia nuovi acquirenti. La crisi energetica che ne è seguita a livello mondiale, la volatilità dei prezzi e il mostruoso aumento del costo dell’energia hanno portato i Paesi europei a interrogarsi non soltanto su come differenziare maggiormente i propri approvvigionamenti, ma anche sulla possibilità di porre una qualche tipologia di argine all’incremento dei prezzi delle materie energetiche.
Dopo mesi di discussioni e negoziazioni, lo scorso dicembre i leader europei hanno finalmente trovato un accordo per l’introduzione del cosiddetto price cap sul gas, ovvero una soglia massima di prezzo al quale si potrà acquistare il gas sul TTF, il Title Transfer Facility, il mercato virtuale con sede in Olanda dove avvengono principalmente gli scambi europei in tale settore[2]. Nonostante si tratti di un importante traguardo, è bene notare che l’accordo non è stato unanime: Austria e Paesi Bassi si sono astenuti, mentre l’Ungheria ha votato contro[3].
Il price cap, in vigore dal 15 febbraio 2023 per la durata di un anno, sarà attivabile in presenza di una duplice condizione: in primo luogo, i prezzi del gas sul TTF dovranno essere superiori a 180 € per megawatt/ora per tre giorni lavorativi consecutivi; in secondo luogo, questo tetto dovrà essere di 35 € superiore rispetto al riferimento globale del prezzo del gas naturale liquefatto (GNL) per gli stessi tre giorni lavorativi consecutivi. Questa seconda condizione è stata aggiunta per convincere quei Paesi, come la Germania, che temevano una potenziale fuga degli altri fornitori di energia a causa del tetto. Inoltre, il price cap potrà essere disattivato nel caso in cui metta a rischio la sicurezza delle forniture e la stabilità finanziaria del mercato energetico europeo. Il ministro del Commercio e dell’Industria ceco Jozef Sìkela – che ha condotto le negoziazioni – lo ha definito, pertanto, un price cap dinamico che dovrà essere in grado di adattarsi alle esigenze del mercato energetico europeo.
La reazione di Mosca non ha tardato ad arrivare: il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha definito il price cap come “un inaccettabile attacco al mercato dei prezzi”. Come risposta, il 27 dicembre scorso, Putin ha firmato un decreto che vieta le esportazioni di idrocarburi verso i Paesi che hanno esposto un price cap. Il decreto è efficace dal 1° febbraio 2023 (inizialmente con validità fino al 1° luglio) e potrà riguardare non soltanto gli accordi di fornitura già esistenti, ma anche quelli futuri.
Per mesi si è parlato del rischio per i Paesi europei di vivere al freddo l’inverno 2022-2023 dal momento che, dall’inizio dell’invasione, le esportazioni di gas russo verso l’Europa si sono quasi dimezzate (-46%). Ciononostante, il quadro sembra ad oggi meno cupo del previsto, in primo luogo grazie alla ricerca di fornitori alternativi, non solo di gas ma anche di GNL (gas naturale liquefatto, che essendo trasportato in barili ne rende più semplice l’approvvigionamento); in secondo luogo, grazie al caldo anomalo che ha attraversato l’Europa in questi mesi e ha portato il consumo di gas a una quota circa il 20% inferiore rispetto alla media del 2019-2021.
In questi mesi, dal canto suo, la Russia ha cercato di trovare acquirenti alternativi all’Europa, guardando con estremo favore a oriente e, in particolar modo, alla Cina. Nel corso del 2022, le esportazioni di gas verso il colosso asiatico sono state in costante aumento e Mosca e Pechino si sono già accordate per la costruzione di un nuovo gasdotto (il Power of Siberia 2[4]), che dovrebbe consentire alla Russia di trasportare verso la Cina circa 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro il 2030. È bene ricordare che, nell’ultimo decennio, l’Unione Europea si è attivata in maniera sistematica verso scelte energetiche più “verdi”, che vedano una diminuzione dell’utilizzo di idrocarburi e una conseguente riduzione delle emissioni di gas serra. I progetti di decarbonizzazione delle società europee rappresentano ovviamente un pericolo per Mosca, che perderebbe ulteriori quote di mercato con una conseguente riduzione delle entrate nel proprio bilancio federale.
Già nel 2019, nella Energy Strategy in the period until 2035 adottata dal Cremlino, si poneva l’accento sui potenziali problemi per le esportazioni di energia verso il principale partner commerciale, ovvero l’Europa, a causa di un miglioramento nell’efficienza energetica, di un aumento dell’uso delle energie rinnovabili e di diversificazione delle risorse utilizzate. Ecco che in questo senso, la scelta di guardare alla Cina può essere letta anche come una strategia geopolitica ed economica di Mosca per sostenere il settore delle esportazioni energetiche in un momento in cui il suo principale partner commerciale, l’Europa, sembra destinato a perdere di importanza.
Se in questi mesi le discussioni sul mercato del gas e del petrolio hanno monopolizzato il dibattito pubblico, è fondamentale guardare anche a cosa sta accadendo nel settore dell’energia nucleare, nel quale la Russia e il suo colosso statale Rosatom rappresentano fornitori leader a livello mondiale per il ciclo del combustibile, per le tecnologie nucleari e per la catena globale di approvvigionamento. Il conflitto in Ucraina sembra non avere avuto impatti considerevoli in questo settore: le sanzioni europee non hanno incluso l’energia nucleare, mantenendo sostanzialmente invariato il commercio di uranio e combustibile nucleare con Mosca. Rosatom ha continuato a rispettare i suoi contratti, prevedendo addirittura per il 2023 un aumento nel volume delle sue esportazioni di circa il 15%. Ad oggi, la compagnia di stato russa continua a gestire la realizzazione di ben 37 impianti nucleari, di cui tre in Russia e i restanti all’estero, tra cui Cina e Ungheria. Anche in questo settore, dunque, i legami energetici (e politici) tra Pechino e Mosca vanno consolidandosi.
Per quanto riguarda l’Ungheria, l’impianto nucleare Paks in suo possesso, progettato e costruito in epoca sovietica, è oggi oggetto di un progetto di rinnovamento. Nel 2009 il parlamento ungherese ha approvato la costruzione di due nuovi reattori e nel 2014 è stato firmato l’accordo proprio con Rosatom per la loro realizzazione: si stima una spesa di circa 12,5 miliardi di euro, in larga parte finanziati dalla Russia, per la messa in funzione dei nuovi reattori entro il 2030. Oggi l’impianto Paks contribuisce a generare circa il 40% della fornitura totale di energia elettrica del Paese e con i due nuovi reattori si stima che tale capacità potrà quasi raddoppiare, assicurando una più concreta sicurezza energetica. Non è un caso, dunque, che l’Ungheria si sia dimostrata in questi mesi lo Stato più ostile alle sanzioni contro il gas e il petrolio russi e che abbia recentemente votato contro l’introduzione del price cap.
Sempre inerente al settore del nucleare, un’inchiesta pubblicata lo scorso novembre su Le Monde ha posto l’attenzione sul fatto che il gruppo francese Orano abbia continuato – nonostante il conflitto – ad inviare il proprio uranio esausto in Siberia, precisamente all’impianto di Seversk (nella regione di Tomsk) appartenente al gruppo russo Rosatom. Si tratta dell’unico impianto al mondo in grado di riciclare l’uranio esausto e chiudere così il ciclo del combustibile nucleare.
Sebbene la Francia sia sostanzialmente indipendente dalla Russia per il rifornimento di combustibile (che importa principalmente da Nigeria, Kazakistan, Uzbekistan e Australia), ne è dipendente per quanto riguarda il ciclo del combustibile: “senza i viaggi tra San Pietroburgo e Dunkerque, la Francia dovrebbe considerare il proprio uranio esausto come rifiuto da gestire e non come materiale da riutilizzare[5]”.
Le discussioni di questi mesi sul tema della sicurezza energetica sono destinate a mantenere una posizione di rilievo nelle relazioni tra Europa e Russia negli anni a seguire. La dipendenza energetica che li lega ha subìto e continuerà a subire profondi mutamenti, portando con sé inevitabili conseguenze sul piano degli equilibri geopolitici. Riuscirà l’Europa a concretizzare le proprie strategie di decarbonizzazione dell’economia e di diversificazione delle proprie rotte energetiche? La Russia sarà in grado di trovare partner alternativi e rivedere il proprio modello economico egemonizzato dalle esportazioni nel settore energetico?
Mara Boscolo
[1] https://www.iea.org/articles/energy-fact-sheet-why-does-russian-oil-and-gas-matter
[2] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2022/12/22/council-formally-adopts-temporary-mechanism-to-limit-excessive-gas-prices/
[3] https://www.theguardian.com/world/2022/dec/19/eu-energy-ministers-agreement-deal-gas-price-cap
[4] https://www.reuters.com/business/energy/rosneft-wants-supply-gas-power-of-siberia-2-pipeline-kommersant-2023-01-09/
[5] https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/11/29/la-russie-possede-la-seule-usine-au-monde-capable-de-recycler-l-uranium-decharge-des-reacteurs-nucleaires-francais_6152097_3234.html