L’attacco al Cremlino è avvenuto a pochi giorni dalle celebrazioni del 9 maggio, le più importanti della mitologia putiniana, e soprattutto nel momento in cui il pessimismo dei russi si fa più cupo. Il Giorno della Vittoria non sarà più la festa spensierata di una volta.
Ve la ricordate la parata del 9 maggio, quella che in Russia celebra la vittoria sul nazismo, dell’anno 2022? Fu abbondantemente detto e scritto sia che Putin avrebbe usato il palco sulla Piazza Rossa per dichiarare conclusa la spedizione in Ucraina, sia che avrebbe annunciato la mobilitazione generale, a causa delle massicce perdite subite dall’esercito russo. Come sappiamo, nulla di tutto ciò avvenne. Putin non dichiarò conclusa l’invasione (e come avrebbe potuto, con l’assedio all’Azovstal di Mariupol’ in corso?) né decretò la mobilitazione generale, che sarebbe arrivata (ma parziale) il 21 settembre. Mentre ora il generale Christopher Cavoli, comandante delle truppe Nato in Europa, avverte il Congresso Usa che il potenziale bellico russo è in gran parte intatto.
Qualcosa di simile avviene anche oggi, quando persino il segretario di Stato Usa Blinken tenta di derubricare l’attacco dei droni ucraini contro il Cremlino a una false flag organizzata dai russi. Pensare a un tentativo di uccidere Vladimir Putin fa ridere, è vero, ma non meno buffa è l’idea di una messinscena. Il Cremlino vorrebbe così intimidire i russi, come se non bastassero la censura, le leggi speciali o l’inasprimento delle leggi ordinarie, per esempio quella che prima puniva il “tradimento” con vent’anni di galera e oggi con l’ergastolo? O forse vorrebbe preoccuparli? Curioso, perché lo sono già, e molto. In un recentissimo sondaggio il Levada Center, che resta il più credibile centro di studio dell’opinione pubblica, ha chiesto ai russi se considerino il massimo delle difficoltà legate alla guerra e alle sanzioni ormai passato, se sia in corso oppure se debba ancora venire. La maggioranza ha risposto che i tempi più duri sono quelli futuri, con una punta del 58% tra gli over 55, che sono i tipici elettori di Putin oltre che i più classici spettatori della parata.
E con questo siamo tornati al punto di partenza, ma con una correzione di rotta: perché poche cose in Russia sono “putiniane” come la parata del 9 maggio. A riportarla in auge dopo l’era sovietica fu Boris El’cin, nel 1995, l’anno del cinquantesimo anniversario della vittoria. Vivevo a Mosca, allora, e ricordo bene quel giorno. La parata fu soprattutto l’occasione per un giorno di festa, pieno di palloncini, gelati e famiglie. I 25 milioni di morti (per circa due terzi civili) della “grande guerra patriottica” (per i russi, che pagarono di gran lunga il prezzo più caro, questo è la “seconda guerra mondiale”) venivano onorati soprattutto nella veste dei veterani con la giacca coperta di medaglie e nastrini. Ma quelli erano gli anni in cui venivano onorate anche le vittime delle purghe di Stalin, mentre oggi Memorial e il Centro Sakharov, dichiarati “agenti stranieri”, devono chiudere.
Fu Vladimir Putin, nel 2008, a rendere annuale la parata e a far sfilare sulla Piazza Rossa anche i mezzi più moderni delle forze corazzate e aerospaziali. L’anno 2008 dovrebbe pur dire qualcosa: è quello della guerra russa contro la Georgia, con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud in luogo del Donbass e Saakashvili al posto di Zelens’kyj; quello in cui Putin (febbraio) disse che avrebbe rivolto i missili nucleari sull’Ucraina se vi fossero state dislocate basi Nato; quello in cui Usa e Polonia si accordarono (ottobre) per dispiegare dieci missili intercettori in territorio polacco come parte dello “scudo” americano nell’Europa dell’Est; quello in cui Dmitrij Medvedev, allora presidente, il giorno dopo l’elezione di Barack Obama (novembre) annunciò un piano russo per piazzare missili a Kaliningrad, al confine con la Polonia, sempre in risposta al famoso “scudo”.
La parata del 9 maggio è putiniana anche per un’altra ragione. È stata il vettore dell’ondata neo-nazionalista che il Cremlino ha usato, una volta annullate le tensioni centrifughe interne, per affrontare le sfide internazionali; il simbolo più evidente della nuova missione che la Russia sceglieva per sé: Mosca ancora e sempre Terza Roma. Per Ivan il Terribile e successori nella difesa della centralità cristiana, per Putin nella difesa da fascismo e nazismo. Non è un caso se le due pretese hanno poi finito per coincidere. Il “nazista” Zelens’kyj viene così spesso definito anche “cocainomane” dai media russi di regime proprio perché decadenza dei costumi e fascismo sono ciò che, nell’attuale escatologia russa, contraddistingue l’Occidente e lo rende inconciliabile con l’attitudine russa a difendere i valori tradizionali (Dio, patria e famiglia, in sintesi) e a combattere il fascismo.
Non ha quindi moltissimo senso attardarsi a calcolare quanti uomini sfileranno il 9 maggio: se sono 11mila anziché 12mila è importante? Se ci saranno più o meno carri armati, se in molte città “periferiche” la parata non avrà luogo, se a Mosca hanno chiuso la Piazza Rossa qualche giorno prima del solito… C’è una guerra, ci sono limiti. Da quando ha coinvolto 300mila famiglie, mandando al fronte padri, zii e fratelli che non avevano firmato alcun contratto con l’esercito, anche il Cremlino sa che non può più fingere che tutto sia come al solito. Quello che conta è che non ci sarà la sfilata del Reggimento Immortale, forse la cosa più “vera” della giornata, l’enorme corteo dei parenti dei morti in guerra che esibiscono le fotografie degli antenati scomparsi. E che non fu inventata dal Cremlino ma da un gruppo di attivisti a Tomsk nel 2012, per diffondersi poi in 110 Paesi. Non si farà per ragioni di sicurezza. Le stesse che impediscono a Putin di replicare la festa della vittoria a Sebastopoli, come pure fece nel 2014, nella Crimea appena riannessa.
Da un certo punto di vista, quindi, i due droni (ucraini?) arrivati al Cremlino hanno mancato il cervello della Russia di oggi ma hanno colpito il suo cuore. Che come diceva Elena Bonner, moglie di Andrej Sakharov, e prima di lei tanti grandi scrittori e uomini russi di cultura, si trova v glubinach, nella Russia profonda e provinciale che da sempre sostiene Putin ma che ora comincia a pensare che il peggio debba ancora venire.
Fulvio Scaglione