Osservatorio Russia
  • Accedi
  • Registrati
  • Aree
    • Russia
    • Paesi Baltici
    • Bielorussia
    • Ucraina e Moldova
    • Caucaso
    • Asia Centrale
  • Temi
    • Geopolitica
    • Politica e Istituzioni
    • Difesa e Cyber
    • Economia
    • Energia e Ambiente
    • Società e Cultura
    • Diritto e Diritti
    • Storia e Religione
  • Rubriche
    • Recensioni
    • Dietro lo specchio
    • Smolensk
    • L’Orso Polare
    • Le tavole dell’Osservatorio
  • L’Osservatorio
  • Pubblicazioni
sostienici
No Result
Visualizza tutti i risultati
Osservatorio Russia
  • Aree
    • Russia
    • Paesi Baltici
    • Bielorussia
    • Ucraina e Moldova
    • Caucaso
    • Asia Centrale
  • Temi
    • Geopolitica
    • Politica e Istituzioni
    • Difesa e Cyber
    • Economia
    • Energia e Ambiente
    • Società e Cultura
    • Diritto e Diritti
    • Storia e Religione
  • Rubriche
    • Recensioni
    • Dietro lo specchio
    • Smolensk
    • L’Orso Polare
    • Le tavole dell’Osservatorio
  • L’Osservatorio
  • Pubblicazioni
No Result
Visualizza tutti i risultati
Osservatorio Russia
No Result
Visualizza tutti i risultati
Home Geopolitica

La Russia è in Libia in cerca di riscatto

di Pietro Figuera
9 Aprile 2021
in Geopolitica, Russia
Tempo di lettura: 6 mins read
La Russia è in Libia in cerca di riscatto

Per Mosca la guerra civile libica del 2011 è un disastro: con il via libera all’intervento occidentale, Medvedev perde in un colpo solo la faccia di fronte ai suoi e i contratti miliardari stipulati con Gheddafi. Seguono anni grigi e poi l’opportunità per tornare a contare nel Paese simbolo delle primavere arabe abortite. Comunque vada, per il Cremlino oggi la missione è già compiuta.

20 ottobre 2011. A Sirte, a poca distanza dal suo villaggio natale, l’ex rais libico Muammar Gheddafi viene braccato e ucciso dai ribelli del Consiglio nazionale di transizione (CNT), sostenuti dalle forze militari occidentali. Quello è il giorno in cui la Russia raggiunge il punto più basso della sua parabola in Nordafrica. La sconfitta di una linea politica che non sarebbe stata più ripresa.

Fino a qualche mese prima, Mosca era uno dei primi partner in assoluto della Libia, con cui aveva stretto importanti accordi commerciali. E ancor prima, in epoca sovietica, era riuscita a fornire il 90% del suo materiale bellico, funzionante e attivo anche dopo la caduta del Muro. Come ha permesso, dunque, che il regime libico venisse rovesciato?

Occorre andare per ordine, e tenere conto di due grandi elementi di novità di quel momento: l’ascesa al potere di Dmitrij Medvedev e la violenza inedita delle repressioni di Gheddafi – ingigantita, a sua volta, da molti organi di stampa occidentali.

Con la sua breve parentesi presidenziale (2008-12), Medvedev prova a rimodulare la politica estera russa in senso più cooperativo nei confronti dell’Occidente. I tentativi, già frustrati dalle reciproche incomprensioni, naufragheranno definitivamente proprio davanti alle sponde libiche – anzi, nei cieli in cui non avrebbe dovuto volare nessuno secondo la no-fly zone approvata dall’ONU. Medvedev, in realtà, non lo immagina quando ordina ai propri diplomatici di votare l’astensione sulla Risoluzione 1973 al Consiglio di Sicurezza. Crede che un compromesso con gli Usa e i Paesi europei sia ancora possibile, ed è convinto che le repressioni di Gheddafi stiano superando ogni soglia di tollerabilità, almeno stando alle sue dure dichiarazioni precedenti[1].

La posizione, non condivisa all’interno dell’establishment russo, porta a una linea di frattura mai vista prima: da una parte il presidente Medvedev e il suo rappresentante speciale per l’Africa Margelov, fautore di un’uscita di scena del rais libico; dall’altra il premier Putin e il ministro degli Esteri Lavrov, fortemente critici verso qualsiasi concessione alle mosse occidentali. Nel mezzo la Duma, che nel tentativo di mediare tra i poteri vota per una dichiarazione di compromesso.

Di lì a poco i fatti daranno ragione a Putin, che a proposito della Risoluzione aveva causticamente osservato quanto essa consentisse “tutto”, somigliando più a un “appello medievale per le Crociate” che a uno strumento legale e adeguato di pressione contro le azioni del regime libico. La no-fly zone, trasformatasi rapidamente in una campagna militare senza limiti di mandato, andrà ben oltre ogni previsione di Medvedev per concludersi solo con la caduta del regime di Gheddafi. Da quel momento in poi, com’è noto, la Libia sarà sostanzialmente un buco nero, intervallato da brevi parentesi di speranza di un ritorno alla normalità. E la Russia, fatti i conti con le proprie responsabilità, non tornerà per anni su quelle sponde per concentrarsi sul suo unico alleato rimasto nel Mediterraneo, la Siria di Bashar al-Assad.

L’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar stringe le mani al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov

Quando vi rimetterà piede, a partire dal 2016, non lo farà in veste ufficiale – almeno se si eccettuano le visite e le dichiarazioni di circostanza. Della Jamāhīriyya di gheddafiana memoria non rimane più nulla: lo Stato libico non è più tale, e in un conglomerato mal assortito di milizie (e piccoli leader politici atti a renderle presentabili) muoversi con mercenari anziché con diplomatici è ritenuto più agevole dal Cremlino. Entra così in gioco la famigerata compagnia Wagner, che negli anni successivi si renderà protagonista di incursioni un po’ in tutto il continente africano – oltre che naturalmente in Siria e in Ucraina orientale.

La Russia quindi proverà a parlare lo stesso linguaggio degli attori locali, senza però rinunciare a rivolgersi verso chi promette una stabilizzazione futura del Paese, o quantomeno un controllo ferreo dei territori dominati: l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. Con lui il dialogo è su più livelli: diplomatico, militare, energetico e persino finanziario visti i dinari stampati a Mosca. Espressione laica e militarista dell’élite libica, e con l’intento dichiarato di riunificare il Paese, il generale rappresenta un modello politico alternativo rispetto al caos post-Gheddafi. E in ciò sicuramente rispecchia i desideri russi – oltre che quelli del vicino Al-Sisi.

La scelta di Mosca è però, come sempre, più geopolitica che ideologica. I territori orientali dell’ex colonia italiana sono quelli più prossimi agli interessi russi, per vicinanza geografica e disponibilità di risorse. Qui Putin sogna per la sua flotta una base militare, la seconda nel Mediterraneo, che potrebbe dare sostanza alle ambizioni di una presenza stabile – in triangolazione con il porto siriano di Tartus e con ciò che verrà installato nello spicchio sudanese del Mar Rosso. E qui Rosneft ha stretto accordi di fondamentale importanza per due Paesi accomunati dalla forte dipendenza da export di idrocarburi. Senza contare le sponde geopolitiche conl’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. E soprattutto facendo leva sulle relazioni ambivalenti con una Turchia ancor più interessata al Paese nordafricano, e insediatasi ormai saldamente sulle sue rive occidentali.

Proprio il rapporto con Ankara ha aperto la strada a una nuova fase dell’impegno russo nella Libia post-Gheddafi. Da attore esterno e interessato a una delle due parti in conflitto (sebbene non abbia mai celato i contatti diplomatici con il GNA tripolino), fino al 2019 il Cremlino non poteva che considerarsi uno sponsor dei due contendenti della disputa. Poi, una volta fallita la frettolosa iniziativa bellica di Haftar del 2019 – condotta, tra l’altro, in barba alla volontà di Putin – l’LNA non ha potuto fare altro che accettare un maggior ruolo dei russi. Stessa dinamica oltre “cortina”: sulle sponde della Tripolitania, il debole Serraj è stato costretto a chiedere aiuto ai turchi per sopravvivere, in cambio di (ulteriori) cessioni di sovranità.

Risultato: gli attori esterni sono diventati sempre più interni, organici cioè ai poteri locali che non possono più farne a meno. E se ancora all’inizio del 2020 i russi (come i turchi) non riuscivano a disporre come volevano dei loro protetti – si veda a tal proposito il flop della conferenza di Mosca – soltanto un anno dopo gli equilibri sono cambiati in misura considerevole. Oggi Putin ed Erdoğan sono gli informali garanti del cessate il fuoco siglato ad agosto, base di partenza per ogni trattativa per la stabilizzazione. Ma stabilizzazione non fa rima con unificazione: al consolidamento delle posizioni acquisite sulla linea Sirte-Ğufra ha fatto seguito la costruzione di una vera e propria barriera fisica, preludio al mantenimento di uno status quo militare che vedrà impegnate Mosca e Ankara per lungo tempo.

Poco male per il Cremlino: il suo obiettivo non è mai stato quello di un inverosimile ritorno al passato – nessuno restituirà mai ai russi i contratti siglati prima della morte di Gheddafi – bensì quello di un ritorno in grande stile che riscattasse il disastro del 2011, almeno dal suo punto di vista. E a prescindere da come proseguirà la sua avventura libica, la missione finora può dirsi compiuta.


[1] Se la situazione fosse peggiorata, aveva fatto notare Medvedev, le azioni delle autorità libiche sarebbero state “qualificate come crimini” e come tali avrebbero dovuto assumersi le “conseguenze del diritto internazionale”.

Tags: Dmitrij MedvedevLibiaRussiaTurchiaVladimir PutinWagner
ShareTweetSend
Pietro Figuera

Pietro Figuera

Fondatore di Osservatorio Russia. Laureato in Relazioni Internazionali presso l’Alma Mater di Bologna e in seguito borsista di ricerca con l’Istituto di Studi Politici S.Pio V, si è specializzato in storia e politica estera russa, con particolare riferimento all’area mediorientale. Autore de “La Russia nel Mediterraneo: Ambizioni, Limiti, Opportunità”, collabora con diverse realtà, tra cui la rivista Limes, il Groupe d’études géopolitiques e il programma di Rai Storia Passato e Presente. Leggi i suoi articoli anche su: Limes, Le Grand Continent, TPI, Pandora, VDJ

Articoli correlati

9 maggio, dov’è la Vittoria?
Editoriale

9 maggio, dov’è la Vittoria?

di Pietro Figuera
10 Maggio 2025
Com’è nato (e perché è fallito) il Memorandum di Budapest
Storia e Religione

Com’è nato (e perché è fallito) il Memorandum di Budapest

di Redazione
9 Maggio 2025
Russia e Bielorussia, a che punto è lo Stato dell’Unione?
Politica e Istituzioni

Russia e Bielorussia, a che punto è lo Stato dell’Unione?

di Redazione
6 Maggio 2025
La censura di Stato tra passato e presente: il caso di Maestro e Margherita
Società e Cultura

La censura di Stato tra passato e presente: il caso di Maestro e Margherita

di Redazione
4 Maggio 2025
L’accordo storico sui confini in Asia Centrale
Asia Centrale

L’accordo storico sui confini in Asia Centrale

di Eugenio Delcroix
18 Aprile 2025

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Twitter

I nostri temi

  • Geopolitica
  • Politica e Istituzioni
  • Difesa
  • Economia
  • Energia e Ambiente
  • Società e Cultura
  • Diritto e Diritti
  • Storia e Religione

Ci occupiamo anche di

Armenia Azerbaigian Baltici Bielorussia Cina Demografia difesa Diplomazia dossier Economia elezioni elezioni presidenziali Energia Estonia Europa gas geopolitica Georgia Guerra Iran Italia Kazakistan Kirghizistan Lettonia Lituania Medio Oriente Nagorno-Karabakh Nato politica estera Proteste Relazioni internazionali Russia Sanzioni Siria Stati Uniti storia Tagikistan Trump Turchia Turkmenistan Ucraina UE URSS Uzbekistan Vladimir Putin
Osservatorio Russia

Osservatorio Russia raccoglie il testimone del progetto Russia 2018 e si propone di analizzare la realtà geopolitica, economica e sociale dell’area ex sovietica ai fini di una migliore divulgazione, in Italia e non solo.

Scopri di più

Contatti

info@osservatoriorussia.com

Aree

  • Russia
  • Artico
  • Ucraina e Moldova
  • Bielorussia
  • Paesi Baltici
  • Caucaso
  • Asia Centrale

Temi

  • Geopolitica
  • Politica e Istituzioni
  • Difesa
  • Economia
  • Energia e Ambiente
  • Società e Cultura
  • Diritto e Diritti
  • Storia e Religione

Rubriche

  • Recensioni
  • Smolensk
  • L’Orso Polare
  • Le tavole dell’Osservatorio
  • Dietro lo specchio

Newsletter

© 2022 Osservatorio Russia

No Result
Visualizza tutti i risultati
  • Aree
    • Russia
    • Paesi Baltici
    • Bielorussia
    • Ucraina e Moldova
    • Caucaso
    • Asia Centrale
  • Temi
    • Geopolitica
    • Politica e Istituzioni
    • Difesa e Cyber
    • Economia
    • Energia e Ambiente
    • Società e Cultura
    • Diritto e Diritti
    • Storia e Religione
  • Rubriche
    • Recensioni
    • Dietro lo specchio
    • Smolensk
    • L’Orso Polare
    • Le tavole dell’Osservatorio
  • L’Osservatorio
  • Pubblicazioni

© 2022 Osservatorio Russia

Bentornato!

Accedi al tuo account qui sotto

Password dimenticata? Iscriviti

Crea un nuovo account

Compila il form qui sotto per iscriverti

Tutti i campi sono richiesti. Accedi

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o il tuo indirizzo email per resettare la tua password.

Accedi
Vuoi sbloccare questo Dossier?
Sblocchi rimasti : 0
Sei sicuro di voler disdire il tuo abbonamento?