Lo Stato dell’Unione va ben oltre le mere dichiarazioni politiche. Il progetto russo di integrazione o annessione de facto dell’ex RSS Bielorussa è un unicum in tutto lo spazio post-sovietico. Sul piano militare la presa di Mosca è in uno stadio avanzato, mentre l’influenza politica ed economica è ancora in buona parte basata sulle debolezze interne e l’isolamento di Minsk. Putin vuole completare l’Unione Russia-Bielorussia entro il 2030, ma Lukašenko non è l’unico ostacolo.
Il rapporto fra Russia e Bielorussia è complesso e peculiare. Durante l’ultima visita a Mosca del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, il 13 marzo 2025, il suo omologo della Federazione Russa Vladimir Putin ha sottolineato l’importanza strategica dell’amicizia fra i due popoli. Persino nel suo ormai famoso articolo “Sull’unità storica di russi e ucraini” del 12 luglio 2021, Putin aveva citato anche i “russi bianchi” (i bielorussi), i quali, insieme ai “piccoli russi” (gli ucraini), sarebbero eredi della Rus’ di Kiev, e quindi parte di un unico “Russkij mir” (mondo russo).
Se già i legami storici e culturali sono profondi, la vicinanza linguistica, le interconnessioni economiche e la comune percezione dell’Occidente uniscono da secoli i due Paesi in un rapporto difficile da sciogliere. A ciò si aggiunga che la crescente dipendenza politica, economica e industriale di Minsk da Mosca è stata di fatto codificata negli anni in numerosi trattati bilaterali e alleanze formali come la CSI, la CSTO e l’UEE. Obiettivo di Mosca: il completamento dello “Stato dell’Unione”, avviato l’8 dicembre 1999 dal Trattato sulla creazione dello Stato dell’Unione. Si procede su tre diversi fronti: militare, economico e politico.
Integrazione militare
Se c’è un aspetto in cui l’obiettivo del Cremlino di integrazione entro il 2030 produce ottimi risultati, è quello militare, il più avanzato dei tre fronti. Anzitutto, la Russia mira ad avere forze permanenti sul territorio bielorusso per supportare l’operazione contro l’Ucraina e la NATO. Altrettanto importante è l’obiettivo di totale controllo operativo e amministrativo in tempo di pace e in tempo di guerra sull’esercito bielorusso. La Bielorussia, infine, dovrebbe servire come utile base di rifornimento di uomini e mezzi per una Russia in crisi demografica e affanno economico.
Attualmente Mosca dispone di una struttura militare chiamata “Raggruppamento Regionale di Forze” (Regional’naya gruppirovka vojsk, RGV) che funge da quartier generale russo per la gestione delle forze bielorusse in tempo di guerra. Non è una struttura fissa e gerarchizzata, ma un’organizzazione flessibile che permette la creazione rapida di forze congiunte. Istituito nel 1997, questo meccanismo è stato ripreso dalla nuova Dottrina militare dello Stato dell’Unione del 2021, che, a differenza della precedente, rimuove i termini “in tempo di guerra” e parla semplicemente di “diretta minaccia di aggressione”. Tra gli obiettivi di Mosca c’è anche la crescita della presenza militare stabile in Bielorussia e la creazione dei centri di addestramento congiunti.
Molto è già stato raggiunto. Il Cremlino ha oggi la possibilità di assumere controllo operativo diretto delle forze bielorusse in tempo di guerra: dal 2022 la Bielorussia ha fornito carri armati, attrezzature e oltre 10.000 tonnellate di munizioni a Mosca. Anche la capacità di addestramento dell’esercito russo in suolo bielorusso è ormai consolidata. Infine, la decisione del Cremlino di trasferire armi nucleari tattiche in Bielorussia nel 2023 ha costretto Minsk ha rinunciare al suo status di “Paese non-nucleare” attraverso un emendamento costituzionale. Lo stato di de facto cobelligeranza bielorussa in Ucraina è un’ulteriore dimostrazione dell’ormai quasi completata integrazione fra i due Paesi. Infine, seppur in diminuzione rispetto al 2023 – per concentrare maggiormente le truppe sul fronte ucraino– la presenza militare russa in Bielorussa resta costante. L’esercito è base cruciale del sostegno e della vita politica di Lukašenko e non è da escludere che l’integrazione russa in tale direzione abbia anche il secondario obiettivo di indebolire lo stesso regime di Minsk.

Integrazione economica
Mercato unico, libera circolazione dei lavoratori, legislazione uniformata e moneta unica. Questi i principali obiettivi di cui agli articoli 2 e 13 del Trattato sulla creazione dello Stato dell’Unione del 1999. Seppur non altrettanto avanzata come quella militare, anche l’integrazione economica prosegue lentamente e inesorabilmente. Essa già permette al Cremlino di evadere in parte le sanzioni occidentali, ottenendo dalla Bielorussia beni dual-use fondamentali per il suo sforzo bellico.
L’obiettivo primario è quella di creare uno “spazio economico unico” che permetterebbe alla Russia di sfruttare appieno la produzione bielorussa, intessendo ancor più duraturi legami nel settore economico, industriale e finanziario, e rendendo quasi impossibile un eventuale futuro decoupling. La Russia intende eliminare la sovranità di Minsk in ambito monetario e fiscale, uniformando la legge sulla tassazione e sul budget. Vuole inoltre creare un mercato e una moneta unica.
Secondo gli economisti, esistono sette gradi di progressiva integrazione economica: area commerciale preferenziale, area di libero scambio, unione doganale, mercato unico, unione economica, unione economica e valutaria, e spazio economico unico. Nel caso russo-bielorusso, un primo accordo di libero scambio risale al 1992, mentre l’unione doganale al 2010, nel contesto dell’Unione Doganale Eurasiatica. L’area di libero scambio è stata raggiunta nel 2011 con la CSI, mentre la formazione di un mercato unico russo-bielorusso risale al 2012, con la formazione dello Spazio Economico Euroasiatico. Una vera unione economica e valutaria, però, seppur prevista all’art. 13 di cui sopra, non è ancora stata implementata. Con l’obiettivo “due Stati, un’economia”, è probabile che i prossimi passi cercheranno di consolidare il mercato interno e introdurre la moneta unica, ma difficilmente ciò si realizzerà prima del 2030.
L’integrazione economica è il secondo fronte più sviluppato del progetto dello Stato dell’Unione. Dal 2018, con l’introduzione del “Piani d’azione dello Stato dell’Unione”, gli sforzi del Cremlino si sono rinvigoriti. Lukašenko ha inizialmente resistito, opponendosi al nuovo programma fino al novembre 2021. La sua rielezione nel 2020, le conseguenti proteste e le sanzioni occidentali che isolano il Paese hanno costretto il presidente bielorusso a cedere qualcosa. Nel gennaio 2024 il Cremlino ha dichiarato di aver raggiunto gli obiettivi prefissati per il triennio 2021-2023 dal Piano d’azione del 2018, introducendo un nuovo progetto per il 2024-2026.

Riunione del Consiglio Supremo di Stato dello Stato dell’Unione, 6 dicembre 2024. Fonte: Kremlin.ru
Integrazione politica
Il più significativo risultato sul fronte politico – il meno avanzato – è quello di aver eliminato completamente l’approccio multivettoriale che Lukašenko ha storicamente portato avanti tra Russia e Occidente, a suo modo provando a rispecchiare le volontà della popolazione bielorussa. Il 50% di essa desidera un riavvicinamento all’Occidente; tuttavia, solo poco più del 36% dei bielorussi vorrebbe vivere come si vive in Europa, mentre l’attitudine verso le sanzioni è generalmente negativo. I sondaggi di Chatham House o altri centri indipendenti restituiscono l’immagine di un paese spaccato, a tratti indeciso e confuso. La relativa opposizione della popolazione non è però l’unico ostacolo, né il principale. Il Cremlino mira a controllare la politica nazionale e locale bielorussa, determinandone anche la politica estera. Minsk è addirittura arrivata a definire la NATO come avversario strategico nella nuova dottrina militare dell’aprile 2024. Come accennato, il sostegno di Mosca nelle proteste del 2020 contro Lukašenko e il riconoscimento dell’annessione russa della Crimea da parte di Minsk (ritardato con fatica fino al 2021), hanno inesorabilmente segnato l’evoluzione politica della Bielorussa.
La Russia sta provando attivamente a formalizzare lo Stato dell’Unione attraverso la creazione di strutture federative di governo. Il Trattato sulla creazione dello Stato dell’Unione del 1999 di fatto stipula la creazione di un’unione politica tra Russia e Bielorussia attraverso un potere esecutivo, legislativo e giudiziario congiunto, ma, alla prova dei fatti, poco è stato raggiunto in tal senso.
Un importante risultato è sicuramente l’interoperabilità del FSB russo del KGB bielorusso, sancita da un documento classificato del 1992. Inoltre, Russia e Bielorussia hanno già formato, nel 2000, un Comitato Permanente sotto gli auspici del Consiglio dei Ministri dello Stato dell’Unione che lavora per implementare le misure previste dal Trattato del 1999. Questo tuttaviauesto esiste solo formalmente e di fatto si limita ad agire come un occasionale gruppo di lavoro a livello ministeriale.
Qui si trova il fulcro del problema: il Cremlino ha formalmente istituito anche la Corte Suprema dello Stato dell’Unione e l’Assemblea Parlamentare comune. Tuttavia, è difficile che si raggiunga una piena e reale operatività di questi organi in tempi brevi, specialmente se prima non vengono raggiunti gli altrettanto ambiziosi obiettivi economici.

Bandiera proposta per lo Stato dell’Unione
Il futuro dello Stato dell’Unione
Il Cremlino, sebbene distratto dalle operazioni in Ucraina, rimane determinato a completare il suo progetto di integrazione (o annessione) della Bielorussia. Mosca deve ricostruire la sua forza militare, sostenere l’economia, affrontare il problema demografico, ristabilire la sua sfera di influenza post-sovietica e contrastare la NATO e gli Stati Uniti. In questo contesto, Minsk è un tassello cruciale. La Bielorussia è l’unico vero alleato di Mosca, un ruolo che la rende fondamentale nell’obiettivo del Cremlino di costruire un nuovo ordine mondiale. La fragilità del regime di Lukašenko e le divisioni interne facilitano l’influenza di Putin su tutti e tre i fronti. Seppur alimentata da legami culturali e storici, la vera spinta verso il completamento dello Stato dell’Unione è rappresentata dagli interessi economici e militari. Il conflitto in Ucraina ha rafforzato la convinzione di Putin sull’urgenza di questo processo, accelerandone i tempi.
Andrea Stauder