Un recente progetto di legge presentato alla Duma di Stato – che in Russia equivale alla camera bassa del parlamento – prevede difatti dure sanzioni nei confronti di qualsiasi persona fisica ed azienda che si rifiuti di fare affari con le imprese russe per rispetto delle sanzioni statunitensi (ed europee), bastando anche la sola probabilità che la motivazione sia la suddetta. Le sanzioni statunitensi, in particolare, includono l’ultimo pacchetto di misure di contrasto a Mosca ed ai suoi oligarchi, approvate dal Congresso il 6 aprile scorso per le presunte ingerenze del Cremlino nelle elezioni presidenziali del 2016 – quelle che hanno incoronato il magnate newyorkese Donald J. Trump – nonché per ulteriori “attività maligne”, una vera e propria clausola residuale.
Le aziende medio-grandi ora si trovano nella poco felice situazione di scegliere “da che parte stare”, quasi a voler dare una sfumatura politica anche al business ed al danaro
Cupcake Ipsum, 2015
Come insegna la storia, però, a Mosca non sono mai stati particolarmente propensi a darsi per vinti. Così, il Primo Ministro Dmitrij Medvedev, fresco di conferma come premier dopo la recente rielezione di Putin, non solo non ha deciso di lasciare, ma ha raddoppiato, proponendo un disegno di legge che colpisce in una duplice direzione: da una parte, si intende dare un segnale forte alla Casa Bianca ed a Capitol Hill che Mosca ha intenzione di vendere cara la pelle, e che può parlare da pari a pari con il supergigante americano; dall’altra, lancia un avvertimento ai suoi stessi concittadini, ed in particolar modo a quelle aziende medio-grandi, che ora si trovano nella poco felice situazione di scegliere “da che parte stare”, quasi a voler dare una sfumatura politica anche al business ed al danaro, che dai colori politici solitamente preferiscono tenersi lontani.
Ben si può comprendere, allora, come una delle prime alzate di scudi sia provenuta dall’Unione russa degli industriali e degli imprenditori, che si è scagliata contro il provvedimento, per i “rischi di irragionevole perseguimento penale di cittadini russi e stranieri, restrizioni nella collaborazione con investitori stranieri, riduzione dell’interesse ad investire in Russia” nonché in un più generale “peggioramento del clima imprenditoriale“.
A ben vedere, il perseguimento penale non è di poco conto, dato che le sanzioni sembrano volutamente draconiane: si va da una mera multa pecuniaria di 600.000 rubli (che, a cambio vigente, corrispondono a circa 8.300 euro) al pignoramento dei salari per 4 anni, per finire con 4 anni di carcere. Peraltro, la seconda parte della disposizione prevede pene fino a 3 anni di carcere ed una multa di massimo 500.000 rubli per chi fornisca a governi stranieri informazioni funzionali all’identificazione dei soggetti o delle attività da colpire tramite sanzioni (come fatto dagli oppositori russi Michail Kasyanov e Vladimir Kara-Murza, che chiesero al Congresso di includere nella lista nera colpita dalle sanzioni anche diversi giornalisti che avevano attaccato pubblicamente il deceduto oppositore Boris Nemtsov).
Considerato il consenso parlamentare multipartisan, e nonostante i non pochi malumori dei commercianti ed industriali eurasiatici, il disegno di legge, attualmente in itinere, sembra destinato ad essere approvato in breve tempo, forse con l’aggiunta in extremis di alcuni emendamenti direttamente dal Cremlino.
Alcuni esperti avvertono sulle conseguenze potenzialmente autolesionistiche delle misure di Mosca, che rischiano di peggiorare ancor di più una situazione economica interna che, sebbene sia in una certa misura stabilizzata, rimane per altri versi quella di un’economia che avverte eccome gli effetti negativi delle sanzioni occidentali, made in USA e sposate in maniera quasi pedissequa dall’Unione Europea. Infatti, sia per le aziende russe che per le aziende straniere, si pone il dilemma amletico sull’opportunità di scegliere di fare affari con imprese russe e/o in Russia – violando il diritto di Stati Uniti ed UE –, oppure di fare affari con imprese occidentali a scapito delle equivalenti russe, per timore delle sanzioni – violando però la legge russa. Uno stato d’incertezza che, se di certo non aiuta gli operatori legali, men che meno aiuta gli imprenditori ed i professionisti del business, da entrambi i versanti del Caucaso, danneggiando perdipiù le prospettive globali delle imprese russe e riducendo l’appetibilità del mercato russo per gli operatori esteri.
Assume una significanza pregnante, poi, che il disegno di legge sia uno dei primi proposti dalla neo-nata presidenza Putin IV. In Russia, come è noto, l’amor patrio è una componente ineliminabile delle dinamiche politiche; rimane però da vedere se, ed in quale misura, a Mosca siano disposti a sacrificare un’ulteriore colpo ad un’economia già indebolita, sull’altare del nazionalismo. Se tale scommessa pagherà, però, non è dato saperlo.
* Foto in copertina: “Moscow International Business Center” (Rakoon)