Sovietistan – Un viaggio in Asia centrale raccoglie le impressioni di viaggio della giornalista e scrittrice norvegese Erika Fatland. Di seguito, la recensione di Mattia Baldoni.
Quell’immensa regione che va dal Mar Caspio fino alle montagne dell’Altaj è per molti di noi ancora uno spazio inesplorato. È un’area misteriosa, le cui caratteristiche e dinamiche talvolta sfuggono anche agli studiosi meno esperti. Eppure, le cinque ex-Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) rappresentano realtà estremamente interessanti ed eterogenee.
Sovietistan – Un viaggio in Asia centrale di Erika Fatland (Marsilio Editori, 2017) è un ottimo strumento per iniziare a scoprire questo mondo così lontano. L’opera è un diario di viaggio avvincente, un reportage da leggere tutto d’un fiato, attraverso il quale la giornalista norvegese descrive gli aspetti culturali, sociali e politici dei cinque Stati visitati, tracciando sempre un ponte tra storia ed attualità. Uno sguardo sulla realtà libero da preconcetti e stereotipi, proprio del viaggiatore appassionato, che rende la lettura molto coinvolgente ed affascinante.
C’è una parola chiave che potrebbe raccogliere tutte le sfaccettature delle realtà centroasiatiche e descrivere la sensazione che si prova leggendo il libro: paradosso. Che si parli di natura, società, politica o vita quotidiana, in ogni Paese si mostrano contraddizioni incredibili, aneddoti a cui inizialmente si fatica a credere, ma che si comprendono una volta immersi nelle pagine. Attraverso questi paradossi voglio tracciare a grandi linee le caratteristiche di ciascun Paese, un breve ritratto di questa regione così vasta e diversificata.
Turkmenistan
Se l’attenzione mediatica non fosse focalizzata sulla Corea del Nord, il Turkmenistan è un degno equivalente in termini di isolamento e stravaganze. Il Paese si estende dalla costa meridionale del Mar Caspio al deserto del Karakum, ricco di meraviglie naturali e siti archeologici, che occupa il 90% del territorio. A metà strada si trova la capitale Asgabat, una città fatta quasi interamente di costosissimo marmo bianco (di provenienza italiana), così moderna da stonare incredibilmente con la realtà circostante. Sotto un ferreo regime autoritario, il Turkmenistan è stato modellato ad immagine del suo primo presidente, l’eccentrico Saparmyrat Nyyazow, al centro di un culto della personalità che non credo abbia mai avuto rivali nella storia. Solo per citare alcuni provvedimenti, l’autoproclamato Turkmenbasy (Padre dei Turkmeni) ha sostituito il nome dei giorni e dei mesi, mettendo il suo, quello di sua madre (con cui ha rinominato pure il pane) e degli eroi nazionali; ha vietato ai giovani di portare capelli lunghi e barba; ha ordinato la chiusura di tutti gli ospedali fuori dalla capitale e delle biblioteche; ha fatto ritirare tutte le patenti di guida, restituite dopo il superamento di un test per la moralità; ha ordinato la costruzione di un enorme arco placcato in oro, con in cima la sua statua che ruota di 360°, sempre rivolta al Sole. Il suo successore, Gurbanguly Berdimuhamedow, ha ridimensionato alcune di queste riforme, restando però l’unico depositario della politica e del destino turkmeno. Nello sfarzo della Capitale o dei vuoti complessi turistici extra-lusso edificati in riva al Mar Caspio si legge una forte volontà modernizzante, che però si limita agli aspetti estetici del regime, cozzando duramente con l’arretratezza dei servizi, delle infrastrutture e delle condizioni di vita nelle aree rurali del Paese. L’uscita dall’isolamento è più complessa di quanto sembri.
Kazakhstan
Il Kazakhstan è uno Stato immenso; nono Paese al mondo per estensione, il più grande senza sbocchi sul mare. È di sicuro la più sviluppata tra le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, grazie alla maggior apertura, alla ricchezza delle fonti energetiche e alla capacità di attrarre investimenti. La politica ha conosciuto una forte stabilità sin dall’indipendenza, ma anche in questo caso l’uomo al comando è stato sempre e soltanto uno: Nursultan Nazarbayev, presidente dal 1991. Il viaggio si districa dalla Depressione Caspica alla sconfinata steppa kazaka, che racconta le vite di uomini e intere popolazioni qua deportate, passando per l’ex poligono nucleare di Semipalatinsk (dove si volle studiare l’effetto delle radiazioni sulla popolazione) e per quello che resta del Lago d’Aral, ennesima tragedia ecologica del Novecento. A contrastare questo triste scenario c’è Astana, letteralmente “la Capitale”, è diventata tale nel 1998 e da allora ha conosciuto una crescita esponenziale. Tra monumenti e palazzi futuristi, Astana colpisce per la sua dinamicità, che anche in questo caso sembra stonare pesantemente con la realtà circostante. Luci, pubblicità e pulizia sono la vetrina di Nazarbayev, che risiede nel suo imponente Palazzo presidenziale. Il futuro e la modernità si scontrano con la depressione di tanti ex attivisti, con le distese di meli vicino ad Alma-Ata e con i riti sciamani di qualche stregone eremita.
Tagikistan
Ai confini estremi dell’URSS, la piccola Repubblica tagika è incastonata tra la catena montuosa del Pamir, la Cinae l’Afghanistan. Proprio quello con Kabul è uno dei confini più fragili e caldi del mondo, spesso sfruttato come passaggio dai Talebani e altre organizzazioni jihadiste. Infatti, a differenza dei Paesi visti finora, il Tagikistan è stato protagonista di una violenta guerra civile negli anni Novanta tra milizie radicali islamiste ed il neonato governo indipendente, che ha avuto la meglio pur restando soggetto ad una certa instabilità. Come negli altri casi, in cui l’ultimo leader del Soviet Supremo statale ha poi proseguito governando il Paese indipendente, così anche in Tagikistan da 25 anni detta leggeEmomaliRahmon. Il Tagikistan, per conformazione geografica e limiti economici, è uno Stato molto povero, in cui intere valli sono difficilmente raggiungibili o restano isolate, fuori dal tempo, come quella dello Yaghnobi, in cui sopravvive la millenaria cultura sogdiana. La capitale Dushanbe è anche in questo caso il museo del regime: monumentale e ordinata, piena di Mercedes rubate in Germania e con un servizio elettrico a corrente alternata. I più grandi investimenti sono rivoltial pennone più alto del mondo (fino al 2014): 165 metri d’altezza, da cui sventola una bandiera nazionale di 1800 mq e 700 kg di peso. Come si possano concentrare tante spese su questo record, data la condizione generale del Paese, è il quesito condivisibile che si pone l’autrice di fronte a tali contraddizioni.
Kirghizistan
Anche il Kirghizistan ha avuto una storia tormentata, fatta di scontri politici, rivoluzioni mal riuscite (quella dei Tulipani del 2005) e guerriglia tra kirghisi e la nutrita minoranza uzbeka. La composizione etnica è un problema tangibile nel Paese, che l’autrice riscontra in molte città ed in molti aspetti della vita quotidiana, dalla quale spesso gli uzbeki sono emarginati. Nonostante questo, oggi la Repubblica si regge su un sistema democratico, seppur molto fragile. Come ha sottolineato Erika Fatland, dopo tutte queste visite una cosa risalta agli occhi nella capitale Bishkek: non si sa chi sia il Presidente. Non ci sono effigi, slogan, manifesti o statue a lui dedicate. Attualmente è SooronbayJeenbekov, eletto nel 2017. Ma se il traguardo politico raggiunto è rilevante, non mancano anche qua divergenze tra modernità e passato: è ancora molto diffusa la tradizione di rapire la futura sposa e costringerla al matrimonio, nel silenzio-assenso di parenti e famiglie; la falconeria e molti sport nomadi sono ancora praticati; resistono minuscole comunità germaniche, eredi dei protestanti mennoniti fuggiti dalla Prussia verso il Volga nel XVII secolo e poi trapiantati nella steppa da Stalin,che parlano ancora un tedesco del Seicento. Così tante sfaccettature e peculiarità non possono che rendere il viaggio appassionante e ricco di riflessioni.
Uzbekistan
Ultima tappa: Uzbekistan. Lungo la storica Via della Seta si incrociano storie mitiche, luoghi ed ambienti culturali e artistici ricchissimi, che hanno dato la luce, tra gli altri, al padre della medicina moderna, il filosofo Avicenna. Dopo essere stato al centro del “Grande gioco“, l’Uzbekistan entrò nell’orbita russa e ne è rimasto saldamente ancorato. Dentro i confini del Paese, apparentemente immobile sotto il duro regime di IslomKarimov (morto nel 2016), sopravvivono numerose spinte separatiste e radicali, tanto ad Ovest (Karakalpakstan) quanto al confine con Kirghizistan e Tagikistan. La valle del Fergana è considerata un pericolosissimo crocevia del terrorismo islamico internazionale, che il governo ha cercato sedare usando la violenza senza troppi rimorsi, alimentando dissapori con le repubbliche vicine. Dopo la morte di Karimov, la lotta per la successione ha rischiato di aprire un vero e proprio vaso di Pandora, se il nuovo leader non avesse tenuto conto di queste serie problematiche. “Eletto” ShavkatMirziyoyev, dovrà districarsi tra minacce interne, corruzione capillare e istanze riformiste, necessario laddove mancano ancora i servizi primari. Le moschee di Samarcanda, i mercati e i tappeti di Bukhara, le decorazioni della capitale Tashkent sono solo alcune delle bellezze su cui il governo uzbeko ha puntato finora per aprirsi al mondo e favorire le entrate turistiche, riuscendoci almeno in parte.
In conclusione, Sovietistan è veramente un libro completo, ricco e che arricchisce, capace di smuovere molta curiosità ed interesse. Nel finale, Erika Fatland chiude riflettendo su quali sviluppi e quale futuro attende questi Stati. Lo fa senza illusioni e con estrema chiarezza, confrontando idee, limiti e possibilità di questi sistemi, sicuramente paradossali, ma frutto della loro storia, di quel balzo dal Medioevo al Ventesimo secolo che ha rappresentato l’inclusione nel sistema sovietico. La modernizzazione e i grandi traguardi sociali (es. istruzione, alfabetizzazione, industria…) non hanno superato le enormi contraddizioni culturali e sociali tra società socialista e tradizionale: il collasso dell’URSS e l’indipendenza hanno portato alla luce queste notevoli divergenze, tuttora esistenti.