Ad una settimana dall’accaduto, Aleksej Naval’nyj, oppositore di Putin e attivista anticorruzione, è ancora ricoverato in coma presso la clinica tedesca Charité dopo un presunto avvelenamento. Tante le ipotesi passate al setaccio, poche le risposte almeno per il momento.
È la mattina del 20 agosto 2020. Aleksej Anatol’evič Naval’nyj sorseggia un tè nel bar dell’aeroporto di Tomsk, nella Siberia sud-occidentale, e si imbarca per fare ritorno a Mosca con la compagnia S7 Airlines. L’atmosfera è tranquilla, poi, improvvisamente, le urla. Si alza e cade a terra esanime. E da lì parte la corsa contro il tempo: le prime operazioni di salvataggio del personale a bordo, l’atterraggio di emergenza ad Omsk, la terapia intensiva e il coma.
È stata Kira Yarmish, portavoce personale di Naval’nyj, a sentenziare fin da subito sull’accaduto: “si tratta di avvelenamento“. La Yarmish, inizialmente pur senza prove certe, non è certo stata l’unica insieme al team di Naval’nyj a pensarla in questo modo. Sui social infatti è immediatamente scoppiata l’indignazione generale, soprattutto perché non si riesce a guardare l’avvenimento come un caso isolato. Si sa, non è la prima volta che si attenta alla vita di un personaggio noto nella Federazione Russa attraverso il metodo dell’avvelenamento.
La recente storia russa ce lo dimostra: a partire dalla celebre giornalista Anna Politkovskaja nel 2004, passando per l’ex spia russa Aleksandr Litvinienko nel 2006 fino al caso dell’ex spia Sergej Skripal e della figlia Yulija nel 2018. Ma soprattutto, già nel luglio dello scorso anno Naval’nyj era stato ospedalizzato per una reazione allergica in circostanze poco chiare, che lo portarono a credere di essere stato avvelenato.
Intorno all’ospedale di Omsk si è dunque avvolto fin da subito un alone di mistero. Fin dalle prime ore i giornalisti accorsi davanti all’ospedale siberiano hanno iniziato a vagliare le varie vicissitudini del caso: da Yulija Naval’naya, consorte di Aleksej, alla quale sarebbero state negate le visite al marito fino alla dichiarazione secondo la quale non si tratterebbe di avvelenamento. Tutto ciò ha inevitabilmente dato vita ad un clima di sfiducia nei confronti dei medici siberiani e dell’establishment russo in senso lato.
E mentre si facevano congetture astruse e non, in Europa qualcuno era già all’opera per salvare la vita del blogger. Così sono arrivate immediatamente le risposte dei leader occidentali disposti ad inviare medici specializzati ad Omsk, ad effettuare un trasferimento d’urgenza nei rispettivi paesi e, addirittura, a concedergli asilo politico. A tenere con fermezza le redini di questa corsa è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, in prima linea insieme al francese Macron, mentre oltreoceano (e non solo) il silenzio ha regnato per diversi giorni. Solo qualche giorno dopo l’accaduto l’Ambasciata statunitense a Mosca ha chiesto chiarezza sui fatti, mentre la Farnesina ha tardato ancora di più per poi esprimere profonda preoccupazione in linea con l’atteggiamento adottato dall’Unione europea.
È stata la Ong tedesca Cinema for peace ad occuparsi del trasferimento di Naval’nyj a Berlino nella clinica Charité. Tra l’altro, la Charité non è una novellina in questo campo. Già nel 2018 si era occupata del trasporto in terra tedesca di Pëtr Verzilov (attivista e portavoce della band femminista Pussy riots) dopo essere stato avvelenato. In seguito ai vari esami clinici del caso, i medici tedeschi hanno decretato di essere in presenza di un avvelenamento dovuto ad una neurotossina inibitrice della colinesterasi, la quale potrebbe provocare danni irrevocabili per il sistema nervoso di Naval’nyj.
Insieme al boom di notizie non sempre accurate, una è passata per lo più inosservata: il fatto che Naval’nyj abbia occupato per giorni le copertine delle maggiori testate giornalistiche in Occidente e nella Federazione Russa, quando di copertura mediatica e, soprattutto, televisiva ne ha sempre avuta ben poca. Secondo un sondaggio del Levada Center, infatti, nel 2017 addirittura il 46% dei russi non conosceva nemmeno Naval’nyj.
Ma facciamo un piccolo salto indietro: cosa stava facendo Naval’nyj a Tomsk? Nell’ultimo periodo il leader dell’opposizione ha fatto la spola tra Mosca e la Siberia, in particolare recandosi a Tomsk e a Novosibirsk per sostenere i candidati indipendenti alle imminenti elezioni locali di settembre. Naval’nyj è la mente che sta dietro alla tattica del “voto intelligente” (umnoe golosovanie), la quale consiste nel votare in massa i candidati che hanno più chance di battere il partito putiniano Russia Unita.
È tuttavia bene ricordare che prima di essere un oppositore di Putin, Naval’nyj è da sempre un personaggio “scomodo” essendo impegnato sul fronte anticorruzione. A partire dai primi anni 2000 sul proprio blog ha portato avanti diverse battaglie per poi agire attraverso la Fondazione per la lotta alla corruzione. La fondazione è stata sciolta solo qualche settimana fa per un’ingente somma di denaro da pagare all’interno di una causa con la società Moskovskij Škol’nik. Quest’ultima sarebbe legata all’influente oligarca russo Evgenij Prigozhin, uomo fidato del Cremlino spesso considerato alla guida dell’organizzazione paramilitare russa Wagner Group. Proprio per la causa in corso tra la Moskovskij Škol’nik e la Fondazione per la lotta alla corruzione, il coinvolgimento di Prigozhin nella faccenda è un’ipotesi che si va via via accreditando.
Provocazione dall’esterno o autogol? In molti hanno provato a chiederselo e continuano a farlo. Se si scava leggermente dentro al contesto russo attuale diventa subito chiaro quanto questa mossa non sia affatto comoda per il Cremlino. Il 2020 ha sferrato diversi colpi bassi a Mosca sia sul piano interno che internazionale. La pandemia è stata un test senza precedenti sia a livello sanitario che economico per la Federazione, dove si sono registrati ad oggi quasi un milione di casi. Nel frattempo, la parte più orientale del Paese è arroventata da proteste pacifiche ormai dalla prima settimana di luglio con il nuovo slogan “Vova [Vladimir Putin, ndr] bevi del tè”. Per di più, le ultime tre settimane hanno visto sgretolarsi anche la reggia del vicino Lukashenko, con il popolo bielorusso sempre più convinto della necessità di un cambiamento di regime al ritmo di Peremen di Tsoj [frontman scomparso del gruppo musicale sovietico Kino].
L’avvelenamento non è per niente una tattica eccezionale nemmeno nell’ottica dei rapporti tra Russia ed Unione Europea, già sul filo del rasoio ormai da tempo per diversi motivi. Per questa ragione, il clima di agitazione e stupore internazionale ha portato il Cremlino ad affermare di non aver nessun coinvolgimento nella faccenda e di non essere in alcun modo intenzionato a lacerare ulteriormente i rapporti con l’Occidente.
D’altro canto, c’è chi ha pensato anche ad un’interferenza esterna per aggiungere benzina sul fuoco delle divisioni interne alla Federazione ed accusare nuovamente il Paese. Sebbene in Occidente questa risulti ovviamente essere l’ipotesi meno accreditata, probabilmente qualcuno a Mosca non starà dormendo sonni tranquilli negli ultimi giorni. Tuttavia, nonostante le accuse reciproche, tutto quello che sta in fondo a quella tazza di tè nero per una ragione o per l’altra difficilmente potrà venire a galla.