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Home Energia e Ambiente

La stabilità dell’Asia centrale passa anche dall’acqua

di Vincenzo D'Esposito
15 Febbraio 2021
in Asia Centrale, Energia e Ambiente
Tempo di lettura: 6 mins read
La stabilità dell’Asia centrale passa anche dall’acqua

La crescita del volume di esportazioni agricole da parte dell’Uzbekistan negli ultimi anni lascia emergere nella valle del Fergana uno scontro idroegemonico irrisolto tra i due Stati rivieraschi maggiormente dipendenti dalle acque del Syr Darya: Kirghizistan e Uzbekistan.

Con le riforme agrarie e l’apertura verso il commercio internazionale, a partire dal 2016 è stato possibile assistere ad una crescita rilevante del prodotto interno lordo dell’Uzbekistan, guidato dall’aumento delle esportazioni di ortaggi e prodotti agricoli. Il raggiungimento di questo risultato è stato agevolato dall’azione del nuovo presidente Shavkat Mirziyoyev nello spingere per ridurre la dipendenza dalla monocoltura del cotone, prodotto a cui per decenni è stata ancorata l’economia statale.

Nonostante i dati economici siano incoraggianti, va tenuto presente un potenziale fattore di rischio per il reale decollo dell’agricoltura uzbeca: lo scontro idroegemonico in atto tra questo Paese e quello posto immediatamente a monte rispetto a esso lungo il corso del Syr Darya, il Kirghizistan. Anni di tensione tra i due governi hanno minato la fiducia reciproca, sicché si stenta tutt’oggi a mettere in campo una reale strategia di cooperazione in materia di acque condivise.

Sebbene le relazioni bilaterali siano migliorate dopo l’insediamento del nuovo presidente uzbeco nel 2016, l’unica misura messa in atto per risolvere la questione è la firma nel 2017 di un memorandum per il completamento congiunto della diga del Kambarata-I sul fiume Naryn, un affluente del Syr Darya, da realizzarsi attraverso la collaborazione tra Uzbekhydroenergo e la Kyrgyz National Energy Holding Company. A ciò hanno fatto seguito nel 2019 le rassicurazioni dell’ambasciatore uzbeco a Bishkek circa la volontà del suo governo di impegnarsi nel completamento dell’opera, ma ad oggi non si è andati ancora oltre le dichiarazioni di intenti.

La creazione del nesso tra acqua ed energia

Il Lago d’Aral nel 1989 (a sinistra) e nel 2014 (a destra)

L’Asia centrale rientra tra le aree del globo maggiormente soggette a situazioni di stressidrico, sebbene siano presenti al proprio interno alcuni corsi d’acqua dalla portata significativa. L’origine di questa problematica viene fatta risalire all’implementazione del sistema sovietico di gestione delle risorse, in quanto l’imposizione di un modello produttivo che favorisse la coltivazione del cotone e la costruzione di un fitto sistema di canali ha fatto sì che la portata idrica dei due maggiori fiumi centroasiatici, il Syr Darya e l’Amu Darya, diminuisse drasticamente.

Questo problema ecologico, concretizzatosi nella quasi totale evaporazione del Lago d’Aral, non rappresenta l’unica criticità che investe l’Asia centrale: interessi divergenti nell’utilizzo delle risorse idriche hanno portato all’esplosione di tensioni tra i governi nel corso degli anni che sono seguiti all’indipendenza. Tra di essi spicca per intensità il confronto che si è avuto, e che in parte sussiste ancora, tra l’Uzbekistan e il Kirghizistan in merito all’impiego delle acque del Syr Darya.

L’origine dei contrasti tra Bishkek e Tashkent si deve alla gestione sovietica delle risorse idriche, in quanto è stato posto in essere un nesso tra acqua ed energia [1] che coinvolge in maniera simbiotica i due Stati: mentre la stragrande maggioranza delle dighe sul Syr Darya è collocata in Kirghizistan, l’impiego idrico maggiore avviene in Uzbekistan. Il primo, infatti, nonostante sia collocato a monte rispetto al corso del fiume, per via della propria conformazione morfologica non ha modo di impiegare che una quota minima delle proprie risorse nell’agricoltura, mentre i Paesi a valle, e segnatamente l’Uzbekistan, necessitano di grandi masse d’acqua per sostenere il settore. Pertanto, l’impiego che si è fatto delle dighe durante gli anni dell’Unione Sovietica è stato basato sul trasferimento di acqua e di energia idroelettrica dal Kirghizistan verso Tashkent durante i mesi estivi, mentre in quelli invernali quest’ultima si impegnava a trasferire combustibili fossili verso Bishkek, che rinunciava, così, a ricorrere all’idroelettrico.

La lotta per l’idroegemonia

La diga di Kurpsai, in Kirghizistan, costruita in epoca sovietica sul fiume Naryn, che discende poi nella Valle del Fergana per confluire nel Syr Darya

In seguito al crollo dell’Unione Sovietica, Kazakistan. Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan si sono incontrati ad Alma Ata nel 1992 per negoziare un sistema di allocazione idrica per quote che ricalcasse pienamente quanto avveniva già in epoca sovietica. Tuttavia è mancata nell’accordo la corrispondente quota di combustibili fossili che i Paesi a valle avrebbero dovuto trasferire al Kirghizistan e al Tagikistan a prezzo agevolato, durante i mesi invernali, per permettere loro di avere elettricità e accumulare acqua da rilasciare nei mesi estivi. Per quanto riguarda il bacino del Syr Darya ciò ha portato, da un lato, il governo di Bishkek a ricorrere spesso all’idroelettrico durante l’inverno, con conseguenze talvolta disastrose sui Paesi a valle, e, dall’altro, a frequenti interruzioni nelle forniture di gas e carbone da parte di Kazakistan ed Uzbekistan, a causa della difficoltà da parte kirghisa nel pagare le forniture energetiche ai prezzi di mercato [2].

Su questo scenario si va ad innestare lo scontro idroegemonico tra Uzbekistan e Kirghizistan per il controllo del flusso idrico del Syr Darya, ovverosia il modo con il quale ciascuno Stato tenta di influenzare l’altro nella gestione del fiume per ottenere vantaggi economici e geopolitici. Segnatamente, i progetti idropolitici kirghisi legati alla realizzazione di dighe sul fiume Naryn per aumentare la produzione di energia idroelettrica e slegarsi dalle importazioni di combustibile hanno incontrato la ferma opposizione del governo uzbeco, soprattutto durante la presidenza di Islam Karimov, poiché la costruzione della diga del Kambarata-I in territorio kirghiso consentirebbe a quest’ultimo di controllare virtualmente il flusso del Syr Darya verso valle e di regolare i rilasci a piacimento, con conseguenze potenzialmente disastrose per l’economia della valle del Fergana.

L’interesse uzbeco nel tutelare il cuore del proprio sistema produttivo, situato lungo il corso dei fiumi principali, ha fatto sì che fin dalla sua indipendenza Tashkent attuasse una politica particolarmente assertiva nei confronti del Kirghizistan per assicurarsi il controllo dei rilasci idrici e tutelare, così, la propria agricoltura [3]. La superiore capacità militare ed economica dell’Uzbekistan gli ha permesso di agire nel bacino del Syr Darya da attore idroegemone, indebolendo la capacità di Bishkek di muoversi in dissonanza rispetto agli interessi uzbechi.

Da parte kirghisa, ciononostante, non sono mancati tentativi di utilizzare in maniera strumentale la propria collocazione a monte rispetto al corso del fiume per tentare unilateralmente di affermare la necessità per gli Stati a valle di contribuire alle spese legate alla manutenzione delle infrastrutture idrauliche presenti in Kirghizistan. Come avvenuto con la Law on inter-state use of water objects, water resources and water economy constructions del 2001, in cui si afferma esplicitamente la necessità di ricevere contributi da parte degli altri Stati rivieraschi; questa rivendicazione non ha condotto, tuttavia, a risultati concreti, restando solo sulla carta. L’impossibilità kirghisa di completare autonomamente le opere idrauliche del Kambarata-I e la difficoltà di attirare investimenti [4] hanno immobilizzato il Paese e lo hanno reso dipendente da attori esterni, scoraggiati dall’investire nello Stato a causa dell’instabilità di cui esso soffre e delle criticità del progetto, collocato in una zona a forte rischio sismico.

Ristabilire la cooperazione

Da questo quadro emerge la necessità per il Kirghizistan di realizzare una gestione integrata delle risorse in collaborazione con gli altri Stati rivieraschi, in particolare Uzbekistan e Kazakistan, in modo da ristabilire il nesso tra acqua ed energia che è venuto a saltare in seguito al collasso dell’Unione Sovietica.

Il bisogno di regolamentare il flusso del fiume è sentito anche dall’Uzbekistan, il quale deve tutelare la propria agricoltura attraverso una fornitura stabile di acqua, soprattutto ora che le sue produzioni stanno guadagnando importanti fette di mercato all’estero.

Purtroppo, i tentativi di accordo su base regionale e di bacino non hanno finora sortito effetti rilevanti. Lo evidenzia il fallimento dell’Accordo del Syr Darya del 1998 tra Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, pensato per prevedere delle compensazioni economiche ed energetiche a Bishkek in inverno.

È fondamentale, in tal senso, che il cambio di passo avutosi nelle relazioni tra i due Stati investa anche la collaborazione idropolitica, per evitare che l’economia della valle del Fergana resti nell’insicurezza e, quindi, non riesca a fiorire. La stabilità regionale passa anche dall’acqua.

Tags: AmbienteAsia CentraleEnergiaKirghizistanUzbekistan
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Vincenzo D'Esposito

Vincenzo D'Esposito

Laureato magistrale in Studi Internazionali all’Università “L’Orientale” di Napoli. Attualmente iscritto al Master di I livello in Sviluppo sostenibile, Geopolitica delle risorse e Studi artici presso la SIOI. Ha trascorso due Erasmus in Germania, che lo hanno portato prima a studiare a Friburgo in Brisgovia e poi a svolgere un tirocinio presso la Camera di Commercio Italiana per la Germania. Appassionato di Asia centrale ed energia, collabora con alcuni think tank come analista geopolitico.

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