Nel 1812 la Russia ha sconfitto la Francia, ma Napoleone ha cambiato per sempre l’impero degli zar. L’invasione che diede vita alla prima Guerra Patriottica stravolse infatti le concezioni militari e strategiche del tempo, offrendo ai russi la possibilità di accelerare la propria modernizzazione. E se l’influenza culturale francese era già attiva in Russia da ben prima della Rivoluzione, i segni del passaggio napoleonico resteranno impressi in molti campi, non solo quello militare.
Il 24 giugno del 1812 la Grande Armée di Napoleone Bonaparte attraversò il fiume Niemen e cominciò l’invasione dell’Impero Russo. Si trattava del primo esercito veramente europeo, considerando il fatto che la componente francese ammontava a meno della metà del totale degli uomini. In effetti, dei 611.900 soldati che presero parte alla fallimentare impresa soltanto 302.000 di essi venivano dalla Francia. Tutti gli altri erano sudditi di potenze alleate di Parigi oppure occupate da Napoleone. In aggiunta, la Grande Armée era l’esercito più grande della storia, non si era mai visto nulla di simile [1].
Dopo la grande vittoria francese nella Battaglia di Friedland, lo zar Alessandro I era stato costretto a ribaltare il proprio posizionamento in Europa: con la firma della Pace di Tilsit del 1807, San Pietroburgo cessava di essere un nemico di Parigi e ne diventava anzi un alleato. Tra le altre cose il trattato, considerato quasi un’umiliazione da parte di molti abitanti dell’Impero Russo, conteneva al suo interno il seme della discordia che sarebbe sbocciato cinque anni più tardi. Due provvedimenti, in particolare, furono forieri di problemi tra Alessandro I e Napoleone Bonaparte.
In primis l’assetto geopolitico dell’Europa Orientale fu modificato, con la creazione del Granducato di Varsavia. Inoltre i russi furono costretti ad aderire al Blocco Continentale, ovvero l’embargo imposto da Napoleone nei confronti della Gran Bretagna, il suo più acerrimo nemico. Per quanto riguarda il primo punto, Alessandro I temeva la rinascita del sentimento nazionale polacco, considerato destabilizzante per le regioni occidentali dell’Impero. Varsavia, del resto, era stata una formidabile antagonista dei russi per lunghissimo tempo. Per quanto concerne il secondo punto, invece, è innegabile che la politica del Blocco Continentale non potesse che danneggiare la Russia. Essa esportava verso l’Inghilterra ingenti quantità di materie prime e la totale interruzione di questa fonte di introiti mise sotto pressione l’economia del Paese, già difficilmente classificabile come florida. Nonostante i numerosi tentativi diplomatici di risolvere la contesa, la rigidità di Napoleone, così come quella di Alessandro I, non consentì di trovare una soluzione e il francese decise di agire. L’imperatore era intenzionato a costringere lo zar a sedere al tavolo delle trattative, e voleva farlo da una posizione di forza. Per questo optò per l’invasione dell’Impero Russo, convinto che una volta raggiunta Mosca la guerra sarebbe terminata.
Le cose, però, non andarono come Bonaparte si era immaginato. La Grande Armée non incontrò resistenza, se non sporadicamente. Kutuzov, che già ad Austerlitz avrebbe preferito un’impostazione difensiva della battaglia, non ingaggiò scontri con l’imponente esercito napoleonico e ritirò i suoi uomini. I russi distrussero i loro stessi villaggi e persino alcune città, come Smolensk. I campi vennero dati alle fiamme e i francesi cominciarono a soffrire per la carenza di rifornimenti. Inizialmente questi avvenimenti furono di natura spontanea, soltanto successivamente l’idea di non lasciare nulla al nemico fu razionalizzata a livello strategico. La Grande Armée, che sin da subito dovette fare i conti con il problema dei disertori, vide assottigliarsi i propri ranghi in maniera considerevole. Molti, poi, morirono di stenti.
A Borodino, finalmente, i due eserciti si incontrarono in una sanguinosa battaglia che vide la morte di 70.000 uomini. Ma, ancora una volta, Kutuzov ordinò alle proprie truppe di ritirarsi e consentì a Napoleone di fare il proprio ingresso a Mosca. Era il 14 settembre. La città era stata data alle fiamme e buona parte degli abitanti era fuggita, portando con sé tutto il cibo. I francesi si aspettavano allora che Alessandro I cercasse di raggiungere un accordo di pace, ma dallo zar non arrivò una sola parola. La Grande Armée, a quel punto, era composta da soli 100.000 uomini e l’inverno stava arrivando. Napoleone fu infine costretto ad optare per la ritirata ed il viaggio verso casa fu tremendo. Tantissimi soldati morirono a causa del freddo e delle privazioni, mentre altri perirono a causa dei costanti attacchi che l’armata subiva sui fianchi. Bonaparte era stato sconfitto.
La grande vittoria dell’Impero Russo innalzò il prestigio del Paese agli occhi delle altre potenze europee. Lo zar divenne una figura dominante negli accordi relativi al futuro assetto del continente – ma dovette far fronte alle immense spese per il mantenimento del suo esercito, che dopo la guerra contava su 750.000 uomini, e a quelle relative alla ricostruzione delle zone devastate dal conflitto. Per questo furono create le cosiddette Colonie Militari, ovvero delle piccole comunità composte da contadini e soldati. In tempo di pace i militari avrebbero lavorato nei campi, e in quello di guerra avrebbero servito il Paese, mentre i contadini si sarebbero occupati anche delle terre di chi era partito. All’interno delle Colonie furono incoraggiati i matrimoni e la procreazione. La nascita di bambini avrebbe garantito all’esercito nuove reclute, e alla comunità di sopravvivere e ingrandirsi. Inoltre la vita all’interno di questi villaggi sarebbe stata migliore rispetto a quella negli insediamenti tradizionali. Tutti avrebbero potuto ricevere un’istruzione, e si pensava che sarebbe stato possibile combattere endemici problemi come l’abuso di sostanze alcoliche tra i contadini. Il progetto dello zar fallì poiché scontentò tutti e non si rivelò fruttuoso dal punto di vista economico [2].
Le guerre napoleoniche ebbero conseguenze importanti anche sul piano della politica interna. Al Congresso di Vienna fu stabilita la creazione del Regno di Polonia all’interno dei territori finiti sotto al dominio della Russia. In base a quanto deciso dalle potenze europee, Alessandro I concesse ai polacchi una costituzione. Secondo i dettami di quest’ultima, essi avrebbero vissuto in condizioni maggiormente liberali rispetto a quelle degli altri sudditi dell’Impero. Cosa che scontentò più di una persona entro i confini della Russia. Una parte dell’élite dell’epoca si aspettava, dopotutto, che la vittoria nella Guerra Patriottica e il nuovo ruolo del Paese nella politica mondiale fossero il preludio per l’avvio delle necessarie riforme liberali. La delusione di tale aspettativa fece sì che i circoli più radicali decidessero di prendere il potere approfittando della confusione venutasi a creare a seguito della successione ad Alessandro I, quando questi morì nel 1825. Nicola I, il nuovo zar, represse duramente l’insurrezione: i ribelli, ribattezzati Decabristi, furono arrestati o giustiziati. Sebbene le riforme non fossero state attuate, il seme del liberalismo era stato impiantato nel suolo russo [3].
L’influenza culturale che la Francia aveva sulla Russia non soffrì particolari ripercussioni dopo le guerre napoleoniche. Sin dai tempi di Pietro il Grande, ma ancor più dall’epoca di Caterina II, la lingua francese era divenuta il principale idioma per i rapporti epistolari o le conversazioni orali dei nobili russi. Soltanto con la Rivoluzione del 1789 l’imperatrice, timorosa che il fervore liberale potesse diffondersi, tentò di recidere il legame con la Francia. All’epoca di Alessandro I, però, i contatti ripresero e Parigi divenne una delle mete preferite per gli esuli e i viaggiatori russi. Per tutto il XIX secolo un periodo di soggiorno in terra francese fu considerato come una forma di affinamento delle proprie prerogative culturali e intellettuali.
Ciò che cambiò, invece, fu la concezione della guerra da parte dell’intelligencija russa. Seguendo le idee di Karamzin, il cui pensiero influenzò persino Puškin, Lermontov, Dostoevskij, Tolstoj e Gogol’, si diffuse sempre di più l’idea che per essere grande la Russia non avrebbe dovuto impicciarsi degli affari europei, in tal modo evitando di essere trascinata in guerre inutili e dispendiose. Soltanto quando fosse stato necessario per difendere il Paese San Pietroburgo avrebbe dovuto schierare il proprio grande esercito, esattamente come accaduto con Napoleone [4].
Ancora oggi la spedizione di Bonaparte riveste una grande importanza nel comprendere le paure di Mosca. Il timore dell’allargamento della NATO verso oriente può essere spiegabile grazie a un attento esame delle invasioni subite dal Paese. Esse sono partite tutte da occidente ed è indubbio che quella napoleonica, insieme a quella hitleriana, abbiano lasciato un segno indelebile nella storia della Russia. La concezione della difesa espansiva del proprio territorio, ovvero la necessità di allargare i confini del Paese in assenza di barriere naturali che possano contribuire a difenderlo, a sua volta ha le proprie radici nella spedizione napoleonica.
La memoria di Kutuzov e della Guerra Patriottica sono ancora oggi parte dell’immaginario collettivo della popolazione russa. Tutto questo rende piuttosto evidente quanto profonda e sconvolgente sia stata l’esperienza dell’invasione bonapartista. Al punto che cambiò il Paese, divenendo un turning point della sua storia. È assai probabile, infatti, che senza gli eventi del 1812 la Russia non sarebbe affatto simile a quella che oggi conosciamo.
Bibliografia
[1] W. Nester, Why Did Napoleon Do It? Hubris, Security, Dilemmas, Brinkmanship and the 1812 Russian Campaign, in “Diplomacy & Statecraft”, 24:3, Londra-New York, Routledge, 2013. DOI: 10.1080/09592296.2013.817922
[2] J. M. Hartley, War, Economy and Utopianism: Russia after the Napoleonic Era, in A. Forrest, K. Hagemann, M. Rowe, (a curda di), “War, Demobilization and Memory. War, Culture and Society, 1750–1850”, Londra, Palgrave Macmillan, 2016. https://doi.org/10.1007/978-1-137-40649-1_5
[3] S. Rabow-Edling, The Decembrist Movement and the Spanish Constitution of 1812, Uppsala University, 2012.
[4] J. Laurence Black, N. M. Karamzin, Napoleon and the Notion of Defensive War in Russian Hisotry, in “Canadian Slavonic Papers”, 12:1, Londra-New York, Routledge, 1970. DOI: 10.1080/00085006.1970.11091185